di Pino Pisicchio - 31 ottobre 2017

La vicenda del conflitto istituzionale ispanico-catalano ha toccato tutte le corde  che fecero grande la scrittura di Miguel de Cervantes Saavedra, dal romanzo bizantino  "Le peripezie di Persile e Sigismonda",  all'immortale "Don Quixote", capolavoro assoluto ma anche modello insuperato del genere picaresco, così intimamente connesso ai repentini coup de théâtre che hanno animato, dal primo ottobre ad oggi, la scena pubblica spagnola. Compresa la fuga di Puidgemont. Ma, parlando di dileguamenti non si può non considerare quello della politica, il più oneroso e devastante in questa storia, che ha visto alternarsi, in un catalogo, forse ancora  incompiuto, di errori, digrignamenti di denti, agitamenti di vessilli, prove di forza esibite per la platea globale, i vertici istituzionali  catalani non meno che la Corona, il Governo, i leader spagnoli e  forse anche quelli dell’Ue.  Della vocazione autonomistica catalana si è detto tutto e si è scritto molto, e così della sua negazione da parte dello Stato centrale: non sono poi tanto lontane nel tempo le manifestazioni  che il 10 luglio del 2010 a Barcellona contestavano la sentenza del Tribunal Constitucional de Espana (la 31/2010 del 28 giugno 2010) che annullava parti rilevanti dello Statuto di Autonomia della Catalogna, approvato, anche quello con un referendum, il 18 giugno 2006. L’anelito indipendentista del 2017 ha viaggiato, però, con due ali sconnesse: l’una, quella piumata dell’alta e nobile ragione identitaria. L’altra, non meno motivante, quella ben conosciuta da noi in Italia per aver rappresentato il mantra più classicamente scandito dalla Lega, guarnita del piumaggio forse più vile, ma assai concreto, del denaro: tenere nel territorio e non devolvere allo Stato centrale le risorse derivanti dalla tassazione. Il leitmotiv del recente referendum  lombardo-veneto in Italia, regioni dal Pil pingue, paragonabili alla Catalogna nel rapporto tra ricchezza nel territorio e ricchezza delle altre regioni. Probabilmente il primo errore della politica catalana è stato quello di sopravvalutare il valore della spinta nobile, apprezzandola come prevalente  rispetto alle motivazioni economiche: la partecipazione stessa al rito referendario, un 43% minoritario, ha raccontato più cose di quanto non siano state ammesse nei commenti ufficiali. Più convincenti sono stati i gesti “concludenti” del sistema bancario e delle imprese in fuga( un altro dileguamento!) che ha chiuso definitivamente  il capitolo indipendentista: il quotidiano Vanguardia pubblica in questi giorni un sondaggio che certifica l’attuale condizione di tiepidezza del  corpo elettorale catalano di fronte alla parola d’ordine indipendenza, voluta solo dal 33% dei cittadini. Né deve essere apparso particolarmente commendevole l’atteggiamento del presidente Puidgemont, che con l’abbandono della nave, dal cui timone ha tuonato parole definitive per qualche settimana, si è ritagliato nell’immaginario collettivo un posto di rispetto tra i comandanti in fuga, accanto all’italiano Schettino della sfortunata Costa Concordia. E’ poi del tutto evidente che, quando due partiti su tre del governo indipendentista estromesso, il PDeCAT e l’Erc, accettano il voto del  prossimo 21dicembre imposto dallo Stato centrale, diventano d’un tratto lontanissime le manifestazioni di esultanza degli indipendentisti per le strade di Barcellona la sera del primo di ottobre. D’altro canto il Governo centrale e la stessa Corona non hanno ragioni per andare fieri dei loro comportamenti in punto di politica. E’ vero, Mariano Rajoy ha incassato la solidarietà internazionale e imposto un braccio di ferro con il governo catalano che lo ha visto formalmente vittorioso. Ma la durezza con cui è intervenuta nei seggi la Guardia Civil, l’applicazione ruvida dell’art.155 della Constitucion, un inedito assoluto nella storia costituzionale spagnola, la mano pesante con cui Josè Manuel Maza, Fiscal General dello Stato spagnolo, nominato dal Re su proposta del Governo, ha indagato tutti i membri del Governo catalano e il direttivo del Parlamento imputandoli di malversazione, sedizione e ribellione, sono tutti elementi che scavano voragini tra Madrid e Barcellona, quale che possa essere l’esito finale della vicenda. Forse il Re Felipe avrebbe potuto, nel suo discorso alla nazione del 3 ottobre, dire anche  parole a cui i Catalani che non volevano il conflitto ad ogni costo avrebbero potuto volentieri  riferirsi. Forse una parola di solidarietà umana per i cittadini che avevano lamentato le intemperanze della Guardia Civil avrebbe potuto aiutare. L’ultimo dileguamento, quello dell’Europa, che sembra non avere la consapevolezza d’essere l’unica risposta alla crisi dello Stato nazionale che investe ormai ineluttabilmente il mondo contemporaneo. Sulla crisi che ha fatto seguito al referendum catalano l’Europa ha scelto la linea della condivisione delle scelte del governo centrale spagnolo. Scelta impeccabile dal punto di vista formale. Ma, nei fatti, una rinuncia  anche questa all’esercizio di un ruolo politico che avrebbe potuto essere svolto sollecitando, attraverso gli strumenti di moral suasion di cui l’UE può e sa disporre, il governo spagnolo  ad una dimensione dialogica e non muscolare nella regolazione del contenzioso con la leadership catalana.

Le occasioni della politica, dunque, sono state tutte consumate in questa vicenda che è ben lontana dall’essersi conclusa perché ha lasciato sul campo lacerazioni acute e lutti non elaborati.

Ma, ancora una volta,  potrà essere solo la politica a riannodare i fili di un discorso interrotto, guardando forse a strumenti federalisti, a meccanismi che disinneschino l’impulso separatista riconoscendo alla Catalogna margini di autonomia fiscale oggi negati, guardando a modelli di entità regionali che in Europa godono di status autonomistici. Si potrà certamente far ricorso a modellistiche istituzionali coerenti con la Constitucion. Ma la volontà di dialogo dovrà tornare ad ispirare le azioni dei leader, centrali e catalani. Dialogo, cioè volontà politica, al ritorno dal lungo dileguamento di questo ottobre 2017.