Vincenzo Varano, Emerito dell'università di Firenze

John Merryman 

(1920-2015)

 

1. John Merryman ha avuto un ruolo molto importante nella mia formazione, secondo solo a Mauro Cappelletti. Avevo cominciato a collaborare con quest’ultimo alla fine del 1963, e fra quel momento e quello in cui incontrai per la prima volta John successero tante cose: diventai assistente incaricato prima, ordinario nel giugno 1965, mi sposai a luglio di quell’anno, e a metà agosto partimmo insieme, mia moglie e io, per trascorrere un anno a Stanford. Eravamo giovanissimi, meno di 25 anni io, 22 anni mia moglie, avevamo una Fullbright che copriva le spese di viaggio di tutti e due, il mio stipendio italiano (come mi pare si dicesse allora, ero stato collocato a disposizione del Ministero degli Affari Esteri) e 300 dollari al mese di borsa di studio finanziata dai “Sons of Italy”, una casina (una “balcony bedroom”) con “back yard” a Escondido Village, un piccolo villaggio appunto destinato agli studenti sposati situato nel campus. Vivemmo un anno meraviglioso, in un contesto culturalmente (oltre che geograficamente) lontanissimo dall’Europa e dall’Italia, ma straordinariamente stimolante e formativo, privi dei mezzi di comunicazione che oggi annullano le distanze, ci scambiavamo lettere manoscritte con le nostre famiglie, e con gli amici italiani, una telefonata ogni 10/15 giorni. Ma ho anche il ricordo di tanti professori assai disponibili e ospitali, che fecero di tutto per farci sentire a casa, e tanti cari amici, nostri vicini di casa, studenti, americani, e non, di tutte le specializzazioni, alcuni rimasti amici fino ad oggi. Avevamo una vecchia Ford Comet rossa con lunghe pinne, e la sprememmo ben bene per girare tutto il mitico west con i suoi spazi sconfinati, e i suoi paesaggi che avevamo conosciuto nei film western e che ci sono rimasti da allora impressi nel cuore …

A Stanford – non c’erano ancora i master – ero classificato “special student” (con la possibilità di frequentare corsi, possibilità di cui profittai, potendo seguire corsi di personaggi come il processualista Jack Friedenthal o come il grande costituzionalista Gerald Gunther) e “teaching assistant” (con il compito di assistere John nel suo seminario e nella sua attività scientifica: in questa veste mi era stato assegnato anche un bell’ufficio). Potrei andare avanti per ore con i miei ricordi di quell’anno, ma non è di me che devo scrivere quanto di John Henry Merryman, del comparatista Merryman anche se l’uomo (apparentemente un po’ burbero), la sua cultura, la sua ospitalità, la sua versatilità (fra le tante cose era un ottimo pianista jazz, che alla testa della sua band “John Merryman and his Merry Men” suonava nei locali della natia Portland per mantenersi agli studi) meriterebbero ben più di qualche riga.

 

2. Come è noto, la comparazione negli Stati Uniti viene importata da giuristi prevalentemente tedeschi, sfuggiti alle atrocità del nazismo: penso ai Rheinstein (che fra l’altro ebbi il piacere e l’onore di frequentare assiduamente durante il mio anno di Stanford mentre lui trascorreva lo stesso periodo al Center for Behavioral Sciences di Palo Alto), agli Schlesinger, ai Riesenfeld, agli Ehrenzweig. John, anche più del suo coetaneo Arthur T. von Mehren che, pur americano era intanto un americano dell’East Coast, era intriso di cultura europea e prevalentemente tedesca, ed era più attento al diritto internazionale privato che non al diritto comparato, è stato probabilmente il primo giurista americano fattosi comparatista, seguito poi da qualche altro, fra cui spicca il nome di Mary Ann Glendon, brillante allieva di Max Rheinstein. Ancor oggi, però, non sono tantissimi i comparatisti americani “di professione”, perché tutto sommato “Comparative Law” continua a non essere considerato  centrale nel curriculum delle Law Schools, e pochi sono i professori cui è consentito di dedicarsi esclusivamente al diritto comparato, tanto è vero che molte facoltà giuridiche, pur importanti e aperte al diritto straniero preferiscono far leva sul contributo di visiting professors, come è accaduto nel mio caso, avendo avuto il privilegio di insegnare in varie Law Schools  e,  per molti anni, alla New York University Law School.

John iniziò come Law Librarian alla facoltà giuridica dell’Università di Santa Clara, una università cattolica nella omonima città californiana non lontana da San José.  Come ben si sa, il Law Librarian nelle università americane non è un funzionario amministrativo, ma è un membro a pieno titolo della Faculty che gestisce in autonomia la politica degli acquisti della biblioteca (fra l’altro John fu anche co-autore di un paio di libri di biblioteconomia), ed è assai spesso, un ricercatore, uno “scholar”. In questa sua veste, John si interessava soprattutto di property, studiandola e insegnandola.

Il matrimonio con Nancy, con la quale formò una coppia unitissima per tutto il resto della loro vita (Nancy morì nel 2013, John nel 2015), divorziata, provocò l’allontanamento di John da Santa Clara, e il suo felice approdo alla assai più prestigiosa Stanford University Law School, già allora, nel 1953, una delle migliori università americane. Nel 1960 John fu nominato “Full Professor”, per poi diventare, nel 1971, in riconoscimento del suo prestigio accademico, titolare di una “named chair”, intitolata a Nelson Bowman Sweitzer and Marie B. Sweitzer. Nel 1986, prima del tempo, per ragioni che neppure i suoi amici più cari seppero mai, “andò in pensione”, diremmo noi, anche se continuò a insegnare, come Professor Emeritus, fino alla primavera del 2015, alla vigilia della sua morte, avvenuta il 3 agosto di quell’anno.

 

3. Come si è accennato poco sopra, John Merryman nasce come un “property lawyer”, un giurista interessato alle tematiche della proprietà e dei diritti reali (diremmo noi) nella common law, e in particolare nel diritto statunitense, nel diritto municipale insomma, senza aperture comparatistiche. Fu il Dean di Stanford dell’epoca, C. B. Spaeth, che, con lungimiranza, invitò John ad allargare i propri orizzonti e a interessarsi anche del diritto di altri paesi, e soprattutto del mondo di civil law, e a questo fine gli consentì di prendere dei “leave” per recarsi in Europa, studiare e incontrare i grandi giuristi europei aperti alla comparazione. Ci si sarebbe potuti aspettare che John andasse in Francia o in Germania, e studiasse il diritto francese e tedesco, cui si guardava come prototipi dei paesi di civil law. Invece, Merryman scelse il diritto italiano, il cui sistema giuridico egli vedeva come il più importante, in quanto vero diretto discendente del diritto romano, privo delle deviazioni del diritto francese o del diritto tedesco, che pure era riuscito metabolizzare, senza snaturarsi: la Rivoluzione francese e il successivo processo di codificazione e la “legal science”, la scienza giuridica tedesca.

Merryman trascorse due anni all’Università di Roma La Sapienza, alla “scuola” di Gino Gorla, di cui pure diventò amico, e per il cui tramite conobbe personaggi come Sabino Cassese e Stefano Rodotà, e conobbe anche Mauro Cappelletti, tutti coloro insomma che combattevano contro il dogmatismo imperante della scienza giuridica tradizionale, e che si avvicinavano molto a quel “realismo giuridico americano” di cui Merryman era imbevuto. Naturalmente, Merryman non si limitò a studiare in Italia, e a intrattenere rapporti con giuristi italiani. Non si fece infatti sfuggire l’occasione di essere in Europa per trascorrere lunghi periodi, ad esempio, anche al Max Planck di Amburgo dove frequentò personaggi come Konrad Zweigert e Hein Kӧtz.

 

4. I contributi di John Merryman alla comparazione sono molti, e molto importanti. Fra questi ne scelgo due.

Il primo è costituito dalla “Trilogia” “The Italian Style”, tre saggi dedicati rispettivamente a “Doctrine”, a “Law”, e a “Interpretation”, pubblicati prima sulla Stanford Law Review, vol. 18 (1966), tradotti in italiano e pubblicati sulla Rivista trimestrale di diritto e procedura civile negli anni 1966, 1967 e 1968, e infine inclusi nel libro “The Italian Legal System. An Introduction”, autori, oltre allo stesso Merryman, Mauro Cappelletti e Joseph M. Perillo, pubblicato dalla Stanford University Press nel 1967. Ricordo che Paolo Scaparone e io, a Stanford come teaching assistant di John nello stesso anno, eravamo piuttosto perplessi di fronte alle teorie di Merryman, debitrici del realismo giuridico americano che certamente ispirava gli articoli della Trilogia, ci volle in poche parole del tempo per farci abbandonare un atteggiamento venato di scetticismo e convincerci che Merryman aveva, per così dire la vista lunga. Da lui imparammo che il diritto vero non si esaurisce nella legge; che il diritto è diverso dal folklore, secondo il quale il diritto è il “diritto dei giuristi” o “diritto della scienza”; che esiste anche un diritto della pratica, ossia un diritto dei giudici. Anzi, le ultime battute dell’ultimo saggio della Trilogia, “Interpretation” sono molto chiare in proposito, e profetiche: “The future would…seem to hold an expanded role and greater prestige for Italian judges. In part this will come about through deflation of the bloated image of the legislature that has loomed over continental legal thought since 1804. In part it will flow from a reconsideration of the traditional rigid separation of legislative and judicial power. And to an important extent it may follow from recognition of the broader doctrinal role that can be played by a creative judiciary whose decisions have  effect as precedents, leading to a more equal sharing by judges with scholars in the conscious development of the law”.[1]  Si può insomma dire che quello che imparammo dalla “Trilogia” contribuì a farci conoscere meglio il nostro stesso diritto, confermando cosi che uno dei fini fondamentali della comparazione è proprio quello di capire meglio il proprio diritto attraverso la mediazione di un giurista straniero.

Il secondo contributo importante è il volume intitolato “The Civil Law Tradition. An Introduction to the Legal Systems of Western Europe and Latin America”, pubblicato nel 1969 dalla Stanford University Press, che, nella III (2007) e IV edizione (2018) ha visto aggiungersi la collaborazione, quale co-autore, di Rogelio Pérez Perdomo. Fra l’altro, il libro è stato felicemente tradotto anche   in italiano da Anna Maria De Vita, con Prefazione di Gino Gorla, con il titolo “La tradizione di Civil Law nell’analisi di un giurista di Common Law” (Milano, 1973).

Per varie ragioni, il libro è molto importante, è stato fin dalla sua uscita un punto di riferimento per i comparatisti. In primo luogo, introduce, e spiega, il concetto di “legal tradition”, distinguendolo dai vocaboli usati in precedenza, quali “legal family” o “legal system”.  Soprattutto importanti le definizioni/distinzioni fra “legal system” e “legal tradition”, dalle quali emerge con chiarezza come uno dei tratti distintivi della “legal tradition” sia la cultura. Giova ripeterle anche in questa sede: con “legal system” si intende “an operating set of legal institutions, procedures, and rules. In this sense there are one federal and fifty state legal systems in the United States…In a world organized into sovereign states and organization of states, there are as many legal systems as there are such states and organizations”[2]. Per comodità di indagine si usa raggruppare I vari “legal systems” in gruppi o famiglie, anche se non sarebbe accurato pensare che “institutions, processes, and rules” siano gli stessi in ciascuno di essi  , anzi possono essere molto diversi, come accade, ad esempio, di Francia, Italia e Germania, ma il fatto che facciano parte dello stesso gruppo, la “civil law”, indica che essi hanno qualcosa in comune, che non è solo l’aria di famiglia,  che li distingue dai “legal systems” raggruppati nella “common law”. E’ questo qualcosa che consente di parlare di una “legal tradition”, la quale non è un complesso di regole, istituzioni e processi, ma piuttosto “a set of deeply rooted, historically conditioned attitudes about the nature of law, about the role of law in the society and the polity, about the proper organization and operation of a legal system, and about the way law is or should be made, applied, studied, perfected, and taught. The legal tradition relates the legal system to the culture of which it is a partial expression. It puts the legal system into cultural perspective”[3].

Il rilievo della cultura è evidente quando Merryman identifica quelle che lui  chiama le “subtraditions” che concorrono a configurare la “civil law tradition”: il diritto romano, il diritto canonico, la lex mercatoria, cui, in tempi più vicini a noi, si aggiungono altre due componenti, o “subtraditions”:  la Rivoluzione – che, a sua volta, non è solo il fatto traumatico a tutti noto risalente al 1789, ma è un movimento che ha  alle sue spalle nuove forze intellettuali, nuovi modi di concepire l’uomo, la società, l’economia, lo stato (giusnaturalismo, separazione dei poteri, razionalismo, liberalismo, statalismo, nazionalismo, supremazia della legge) che porteranno alla codificazione –, e una delle più influenti scuole di pensiero che abbiano permeato di sé la “civil law tradition”, e non solo, ossia la scienza giuridica elaborata dai giuristi tedeschi del XIX secolo guidati da Friedrich Karl von Savigny.

La terza caratteristica del libro di Merryman è l’ampliamento che l’Autore compie dell’orizzonte della “Civil Law”. Di norma (si veda ad esempio il “Casebook” di von Mehren e Gordley[4]) sono Francia e Germania gli obiettivi del comparatista americano. Merryman non solo privilegia lo studio del dritto italiano, il che, come si è detto, è già di per sé anomalo, ma abbraccia con lo sguardo anche il diritto dell’Europa mediterranea e dell’America Latina che, attraverso il processo di colonizzazione, hanno assorbito molta parte della “civil law tradition”. Probabilmente, a questa espansione, non è stato estraneo il progetto SLADE (“Studies on Law and Development”), diretto dallo stesso Merryman e da Lawrence Friedman, il cui obiettivo era di investigare i sistemi giuridici di vari paesi europei e latino-americani[5] sulla base di indicatori riferiti al periodo 1950-75.

John Merryman e sua moglie Nancy furono anche appassionati, e competenti, collezionisti di arte moderna, e questi interessi, che divennero sempre più assorbenti nella loro vita, dettero anche impulso ad una nuova svolta negli interessi scientifici e didattici di John, che negli anni 80 cominciò a insegnare un corso su “Art and the Law”, insieme ad Albert Elsen, un collega storico dell’arte, anch’egli professore a Stanford. Scopo del corso, che sempre si avvaleva del metodo comparativo, era quello di affrontare, come scrive Salvatore Patti nel suo ricordo, “i problemi giuridici legati alle opere d’arte, dalla tutela del diritto d’autore fino alle problematiche legate al commercio e al furto. Le lezioni…hanno rappresentato un modello innovativo, sia per la interdisciplinarità, che per il metodo di insegnamento”[6]. E Lorenzo Casini, nelle pagine dedicate a Merryman, scriveva che in quel primo corso “furono poste le fondamenta per un nuovo campo di studi, proprio negli anni in cui il mondo intero diede segnali di forte interesse verso il patrimonio culturale… Da allora Merryman divenne progressivamente il più importante studioso di cultural property a livello internazionale… [e] fu fra i principali fautori del c.d. cultural property internationalism [e non poteva essere altrimenti date le aperture dei suoi studi precedenti], in risposta agli atteggiamenti troppo nazionalisti di alcuni stati”[7]. Anche nel settore di “Art and the Law”, Merryman fornì alcuni contributi fondamentali per lo sviluppo di questo nuovo campo di ricerca. Fra di essi si ricorda soprattutto “Law, Ethics and the Visual Arts”[8], nato dal primo corso con Albert Elsen, uscito almeno in cinque edizioni, e la raccolta di studi “Thinking about the Elgin Marbles. Critical Essays on Cultural Property, Art and Law”[9], nel quale Merryman “espresse il proprio scetticismo circa la fondatezza giuridica della richiesta, da parte della Grecia, di riavere i marmi del Partenone”[10].

 

5. Per tornare alle battute iniziali di questa breve sintesi su  John Merryman e il significato della sua opera nei vari percorsi di ricerca da lui intrapresi, con grande successo, il lettore avrà certamente compreso perché avverto un debito di riconoscenza nei suoi confronti, perché ritengo che dopo Cappelletti debba molto a lui per la mia formazione di comparatista , e tanto più ne sono convinto oggi se vado indietro col pensiero e ricordo quel po’ di scetticismo che per qualche mese nutrii nei confronti delle idee nuove, che mi apparivano strane, che quest’uomo gentile, colto, spiritoso condivideva con me e con gli studenti americani, e che mi fecero comprendere  tante cose del mio diritto di cui pensavo di sapere, e di capire tutto.

 

[1] The Italian Legal System, cit., p. 276-77

[2] The Civil Law Tradition, cit., p. 1

[3] The Civil Law Tradition, cit., p. 2

[4] A. T. von Mehren & J. R. Gordley, The Civil Law System, Boston & Toronto, Little, Brown, 2nd. Ed., 1977

[5] I risultati del progetto furono pubblicati nel 1979: J. H. Merryman, D. S. Clark e L. M. Friedman (eds). Law and Social Change in Mediterranean Europe and Latin America. A Handbook of Legal and Social Indicators for Comparative Study, Stanford Law School, 1979.  L’ampiezza dell’orizzonte di Merryman, è dimostrato anche dai casebooks di cui è stato coautore:il primo, con D. S. Clark, si intitola Comparative Law: Western European and Latin American Legal Systems (1978); il secondo, ancora con D. S. Clark ma anche con J. O. Haley, allarga ulteriormente lo spettro dell’indagine includendo anche  la East Asia, e si intitola infatti: Comparative Law: Historical Development of the Civil Law Tradition in Europe, Latin America, and East Asia, LexisNexis, 2010 (edizione completamente diversa, tanto che non può parlarsi di seconda edizione,  rispetto a quella del 1994 fra i cui autori ancora non figurava Owen Haley).

[6] S. Patti, John Henry Merryman, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2016, p. 146

[7] L. Casini, “The Loneliness of the Comparative Lawyer”. In memoria di John Henry Merryman (1920-2015), in Riv. Trim. Dir. Pubb.,2016, p. 880.

[8] Kluwer, The Netherlands, 2007, è la V edizione che è quella di cui possiedo un esemplare.

[9] Kluwer, The Netherlands, 2000.

[10] L. Casini, cit., p. 881, anche per altre interessanti osservazioni.