di Lorenzo Cuocolo

Ci vuole la fantasia del migliore Dan Brown per scorgere nel binomio Inno alla gioia e Piramide (del Louvre) la simbologia massonica che starebbe dietro al successo di Emmanuel Macron. Da noi lo hanno detto alcuni esponenti della Lega, ma anche altrove non sono mancate simili fantasie complottiste.

Restando seri, molti di noi sono rimasti colpiti dal fatto di sentire l’inno europeo quando Macron è salito sul palco per celebrare il proprio trionfo. Ma non per oscuri retroscena, bensì perché le note di Beethoven sono state preferite, nel cuore di Parigi, alla Marsigliese. E molti hanno trovato in questa scelta simbolica la conferma di un presidente di rottura, che – addirittura – anteporrà l’Europa alla Francia.

Sull’europeismo di Macron nessuno può dubitare. Come ha detto Donald Tusk, Macron ha sviluppato un discorso di verità sull’Europa, rinunciando alle fake news, di chi vede nell’Unione e nella moneta unica la causa di tutti i mali contemporanei.

Anzi, il giovane presidente ha fatto dell’Europa il proprio principale carattere distintivo in campagna elettorale. Come ha notato Enrico Letta (che, non a caso, era al Louvre per i festeggiamenti), Macron ha scelto di impostare la propria campagna su un rischio: quello europeo, appunto. E, ora, si ritrova più forte e legittimato dal voto a perseguire il proprio programma.

Bisogna però porsi una domanda di fondo: quale Europa vuole Macron? E, soprattutto, è vero che anteporrà l’Europa alla Francia? Su quest’ultimo punto, come vedremo, è lecito avere qualche dubbio. Ma partiamo dall’idea di Europa che ha il nuovo presidente.

Il programma di En Marche! entra nel dettaglio e rende chiari i punti di fondo.

Uno dei più importanti riguarda l’Europa a più velocità: per Macron il rilancio dell’Europa passa necessariamente attraverso le geometrie variabili. Fra i cerchi concentrici assume rilievo strategico l’area Euro, per la quale il presidente propone un micro-sistema di governo: un Parlamento, un ministro delle finanze e, soprattutto, un bilancio comune. Questo sarà probabilmente il terreno sul quale si giocherà buona parte della scommessa di Macron, e non sarà affatto scontata un’identità di visioni con la Germania. Certo è, però, che deve essere ripreso il percorso che nel 2012 ha portato a concepire l’unione bancaria e che, tuttavia, non è stato completato. È il caso di ricordare, infatti, che – per tamponare la crisi economica – fu approvato in gran fretta il regolamento sulla vigilanza bancaria comune, lasciando indietro sia l’attuazione del regolamento sulla risoluzione comune (soprattutto con riferimento alla dotazione del fondo unico di risoluzione), sia il progetto di garanzia comune sui depositi. Il completamento dell’unione bancaria, prima, e il conseguente progetto di una unione fiscale per l’area euro (con correlati Eurobond), consentirebbero di uscire dal guado e di creare le condizioni economiche, ma soprattutto istituzionali, per fronteggiare nuove situazioni emergenziali che potrebbero presentarsi. Macron si occupò del tema già nel 2012, come consigliere di Hollande, ed è probabile che conservi il proprio favore per il completamento di questo progetto.

Un altro aspetto che sarà da seguire con attenzione riguarda i rapporti con la Germania. Molti commentatori, in questi primi giorni, sottolineano il fatto che l’Europa di Macron sarà incentrata sull’alleanza franco-tedesca. L’annuncio del presidente di prevedere a breve una visita a Berlino viene interpretato come una conferma di ciò. Probabilmente, però, si deve dare una lettura meno netta ed è verosimile che Macron, pur mantenendo un rapporto privilegiato con la Germania, punti a rafforzare il peso della Francia, anche allargando la “cabina di regia” ad altri Paesi. Come ha notato Franco Bassanini, le analogie con Mitterrand tengono fino a un certo punto: l’attuale situazione vede una disparità troppo pronunciata fra i due Paesi ed il coinvolgimento dell’Italia, in questa prospettiva, potrebbe essere funzionale all’obiettivo di Macron di bilanciare il peso tedesco.

A questo proposito, poi, giocano un ruolo importante due fattori interni: le elezioni politiche francesi e tedesche, che si terranno a cavallo dell’estate. La consueta litania sull’austerity europea potrà trovare un’accordatura solo dopo le due tornate elettorali. Da un lato, infatti, le politiche europee di Macron devono passare attraverso importanti riforme interne alla Francia. Non è un caso che il presidente della Commissione europea Juncker abbia sottolineato in questi giorni come la Francia spenda troppo e male. Per realizzare le riforme Macron avrà bisogno di una maggioranza parlamentare o, quantomeno, di una forma di coabitazione non anti-europea (sui possibili scenari post-elezioni francesi si veda Stefano Ceccanti in questo forum). Al tempo stesso, però, Macron ha bisogno di lanciare alcune riforme europee prima delle elezioni di giugno, e per farlo ha necessità di una solida sponda a Berlino.

Il presidente francese, dunque, dovrà da subito mostrare le proprie doti di equilibrista: se, infatti, gli affari europei sono da considerare attratti nel domaine réservé dell’Eliseo (come ha recentemente notato Gianniti), la strategia europea di Macron non potrà svilupparsi senza l’appoggio dell’Assemblea nazionale ai suoi progetti di riforma.

Dal canto suo, Angela Merkel – che pure si è spesa in complimenti per Macron – non potrà rivelare cosa è disposta realmente a concedere fino alle elezioni di settembre, anche se ci sono segnali che lasciano attendere un ammorbidimento della cancelleria tedesca sulle politiche di rigore e, forse, anche qualche spiraglio sugli Eurobond. Qualche mese di tatticismi, dunque, è da mettere in conto. E, detto incidentalmente, potrebbero essere mesi preziosi per ritagliare all’Italia un ruolo di peso che non ha da parecchi anni.

Un altro tema di straordinaria importanza nella visione di Macron sull’Europa riguarda la sovranità. Alcune scelte di Macron hanno portato i commentatori a ritenerlo il paladino di una sovranità senza sovrano o, ancora, di una sovranità europea capace di annullare quelle nazionali. Affermare in campagna elettorale che la cultura francese non esiste, presentarsi circondato da bandiere europee e suonare l’Inno alla gioia la sera della vittoria sono state scelte sicuramente forti. Sarebbe sbagliato, tuttavia, dare una lettura esclusivamente europeista. Macron, infatti, concepisce più correttamente una doppia sovranità, su un modello che – almeno in prospettiva – può prendere i caratteri di una federazione europea (non a caso il programma di En Marche! parla espressamente di “federare i popoli europei”). Tramonta, nella visione di Macron, l’idea (cara invece a Marine Le Pen) di uno Stato protettore. La protezione, almeno su alcuni temi, può essere trovata solo nell’ordinamento europeo. È su questa base concettuale che Macron ha sviluppato le sue coraggiose proposte sull’immigrazione: rafforzare Frontex e fornire mezzi e risorse ai Paesi più esposti all’arrivo di migranti. Frontiere europee, dunque, e non frontiere nazionali (rafforzando Schengen, e non abbandonandolo).

Uguale matrice hanno le proposte in materia di commercio internazionale o di protezione del dumping sociale. E da qui provengono anche le due principali idee protezioniste. La prima, che propone di riservare l’accesso al mercato degli appalti pubblici europei alle imprese che realizzino almeno la metà della propria produzione in Europa. La seconda, che vuole introdurre misure restrittive e di controllo sull’accesso di imprese extra-europee ai settori strategici.

La visione di Macron sembra cioè improntata ad una corretta interpretazione della sussidiarietà, giustificata dalle sfide globali. Ma questo non vuol dire rinunciare o diluire la sovranità francese. Per due distinti motivi: da un lato, tutte le materie sulle quali è più efficace l’intervento nazionale restano saldamente riservate alla sovranità nazionale. Su questo basta leggere le parti del programma presidenziale relative agli affari interni per rendersene conto. Dall’altro lato, Macron vede nella regolazione europea di alcune materie lo strumento necessario per recuperare la sovranità francese. Come si legge nel programma di En Marche!, infatti, su materie come immigrazione, ambiente, commercio, difesa comune ed altre ancora, la Francia da sola non sarebbe in grado di avere un ruolo nello scenario globale. Ruolo che, al contrario, riacquista come attore di peso della federazione europea. Non solo, favorire l’integrazione europea in determinati settori può consentire uno sviluppo della crescita economica francese, se si considera che le imprese d’Oltralpe stanno mettendo a punto in questi anni progetti molto ambiziosi di espansione in Europa (a cominciare dall’Italia). Basti pensare al settore del credito, a quello della grande distribuzione o – soprattutto – a quello dell’energia, sul quale, non a caso, Macron preme per la realizzazione di un mercato unico.

La visione europea di Macron, che appare del tutto condivisibile, non è dunque in alcun modo alternativa alla riaffermazione della sovranità francese. Tutt’al contrario, la modernità della visione di Macron sta proprio nel cercare nuove forme di espressione della sovranità nazionale, in un contesto europeo a vocazione federale in grado di competere su scala globale. La netta frattura sia con la candidata del Front National, sia con l’impostazione stantia dei candidati di sinistra e di destra, ha consentito a Macron di vincere le presidenziali e, con ogni probabilità, consentirà all’Europa una nuova stagione di progresso.