di Francesca Rosa

La politica britannica ha regalato al mondo l’ennesimo colpo di scena post-referendario. Il 18 aprile Theresa May ha annunciato alla stampa l’intenzione di convocare le elezioni politiche generali. Il giorno seguente ha presentato alla Camera dei Comuni una mozione (“That there shall be an early parliamentary general election”), che l’Assemblea ha approvato dopo 90 canonici minuti di discussione con 522 voti a favore e 13 voti contrari[1].

A più riprese dopo il voto del 23 giugno era stata ipotizzata la convocazione delle elezioni anticipate. Le motivazioni erano essenzialmente due: sanare il divario tra volontà parlamentare e volontà popolare emerso dal referendum[2], e legittimare con il voto il nuovo Premier - divenuto tale in forza dell’avvicendamento Cameron-May alla guida dei conservatori - e con esso il mandato necessario a negoziare i termini del recesso dall’Unione, ipotesi tecnicamente non contemplata dal manifesto conservatore del 2015. D’altro canto, più volte in questi mesi il Primo Ministro aveva negato di volersi presentare agli elettori prima 2020[3]; la Premier ha così platealmente  sconfessato le proprie precedenti dichiarazioni d’intenti.

È difficile individuare nelle ragioni illustrate alla stampa e al Parlamento le reali motivazioni di questo cambiamento di rotta. Dell'opposizione e delle divisioni della Camera dei Comuni nei confronti della strategia del Governo sulla Brexit non c'è quasi traccia nei lavori parlamentari. Dopo le sentenze della Corte Suprema e dell’Alta Corte[4], il Parlamento ha velocemente approvato il Notification Withdrawal Bill nel testo presentato dal Governo, rigettando gli emendamenti approvati dalla Camera alta (che peraltro ha desistito da ogni proposta di modifica già in seconda lettura), con una maggioranza più ampia di quella che sostiene l’esecutivo[5]. Prima di allora i Comuni avevano approvato, sempre a larga maggioranza, due risoluzioni in cui chiedevano l’ovvio: un voto parlamentare precedente la notifica ex art. 50 TUE e un dibattito aperto e trasparente sulla posizione del Governo nelle trattative che si sarebbero aperte con le istituzioni europee[6]. Al contempo la possibilità (non la certezza) che il partito laburista avrebbe potuto opporsi (fra due anni, non ora) all’accordo finale (se mai un accordo verrà siglato) con l’Unione rientra nella fisiologica dialettica tra maggioranza e opposizione della forma di governo parlamentare, che la classe politica britannica ben conosce. Possiamo dunque convenire con l’unanimità degli osservatori che il reale obiettivo della May sia stato la tesaurizzazione di un vantaggio elettorale senza precedenti, visto che nei sondaggi - sempre che dei sondaggi ci si possa ancora fidare - i tories staccano i laburisti di circa venti punti percentuali[7]. Il rafforzamento della maggioranza parlamentare sarebbe funzionale sia ad affrontare con maggiore tranquillità sul fronte interno le difficoltà di una trattativa in cui il Regno Unito parte dal noto svantaggio del 27 a 1, sia a dilatare la prospettiva temporale del nuovo Governo fino al 2022[8].

Se i vantaggi di una snap election per i conservatori sono chiari, altrettanto non può dirsi per laburisti, e liberal-democratici[9]. Il voto parlamentare rappresenta dunque la terza, e forse più oscura, ragione di spiazzamento in questa vicenda, visto che la Premier è riuscita a coagulare una maggioranza parlamentare senza precedenti su un’ipotesi ad alto rischio suicidario per il partito laburista e non certo favorevole ai liberal-democratici, uno spiazzamento del quale solo la cronaca politica più meditata potrà darci ragione[10].

Nella prospettiva del diritto costituzionale, il voto parlamentare sullo scioglimento anticipato rappresenta una novità assoluta per il parlamentarismo britannico, poiché per la prima volta ha trovato applicazione la previsione della legge del 2011 sulla early election della Camera elettiva. Quest’ultima ha abrogato la prerogativa regia di scioglimento della Camera dei Comuni, prevedendo che le elezioni generali si tengano il primo giovedì di maggio del quinto anno successivo alla precedente convocazione delle urne (art. 1,3) e che il Parlamento si sciolga automaticamente il diciassettesimo giorno antecedente la data delle elezioni (art. 3,2).

L’anticipazione dei comizi elettorali è contemplata in soli due casi: quando i 2/3 dei componenti dell’Assemblea approvino una mozione in tal senso (art. 2,1), oppure quando la Camera dei Comuni approvi una mozione di sfiducia nei confronti del Governo in carica che non sia seguita, entro 14 giorni, dalla formazione di un nuovo esecutivo (art. 3). In caso di scioglimento anticipato il quinquennio della legislatura decorre dalla data delle nuove elezioni.

La prima ipotesi introduce l’autoscioglimento, consente cioè a una maggioranza qualificata di deputati di decidere la fine della legislatura. Dal punto di vista teorico, tale possibilità collega lo scioglimento anticipato al principio della sovranità del Parlamento, attribuendo all’Assemblea rappresentativa una prerogativa che finora non aveva. Nel farlo, però, sgancia la deliberazione della Camera elettiva dal principio della maggioranza semplice, regola aurea del parlamentarismo britannico, che non contempla maggioranze qualificate né nell’ambito del procedimento legislativo né in quello di modifica degli Standing Orders. La scelta è legata alla volontà di sottrarre tale decisione alla maggioranza politica dell’Assemblea che sostiene il Governo, ne consegue che per deliberare l’autoscioglimento è  necessario il consenso dei deputati dei due principali partiti politici.

La seconda ipotesi collega lo scioglimento anticipato all’insorgere di una crisi di governo, ma consente anche all’esecutivo e alla sua maggioranza di “aggirare” il dettato della legge e di utilizzare il voto dei “propri” deputati per convocare le elezioni prima del termine naturale della legislatura. Quest’ultima possibilità consente ancora oggi all’esecutivo di controllare la durata della legislatura e di accedere alle urne quando più gli conviene.

Intrecciando dato politico e dato normativo mi pare si possano formulare tre riflessioni sulla convocazione delle elezioni e sulla applicazione della legge del 2011. Innanzitutto registriamo che ad oggi la legge è stata applicata due volte. La prima - nel 2015 - ha dato luogo all'automatico scioglimento della Camera elettiva dopo cinque anni di legislatura (la regola); la seconda - nel 2017 - ha aperto la strada allo scioglimento anticipato dei Comuni (l'eccezione).

Fino al 2011 il ricorso al potere di scioglimento della Camera elettiva da parte del Primo Ministro (o del Governo) era stato criticato perché marcatamente a favore del partito di maggioranza, che aveva la possibilità di scegliere “in autonomia” il timing elettorale. La legge sulla durata fissa della legislatura è stata approvata - non casualmente nella legislatura del Governo di coalizione - proprio con l’intento di limitare (non di escludere) quel vantaggio della maggioranza. D’altro canto, la “mossa elettorale” di Theresa May appare in continuità con il passato, tanto che taluni si sono chiesti se il Fixed Term Parliaments Act abbia modificato l’assetto del potere di scioglimento anticipato[11].

Pensare che nulla sia cambiato è plausibile se guardiamo a come la Premier ha preso l’iniziativa dello scioglimento, ne ha assunto la paternità politica e ha “incassato” un risultato a vantaggio del proprio partito[12]. Nondimeno, a differenza del passato, il Primo Ministro ha dovuto presentarsi ai Comuni (non alla Regina), dibattere la mozione e rimettersi al voto dei deputati, che formalmente e sostanzialmente hanno deliberato lo scioglimento. Il luogo della decisione è cambiato e questo cambiamento deve essere tenuto in debita considerazione.

La ratio della legge non è stata elusa come lo sarebbe stata se il Premier avesse percorso la seconda delle strade che aveva a disposizione (il voto di sfiducia “apparente”), perché il Parlamento ha votato “in blocco” a favore dello scioglimento[13], risparmiando al Governo una scorciatoia problematica e impopolare. Nella scelta compiuta dal “resto del Parlamento” risiede dunque la novità dello scioglimento anticipato. Una novità in punto di diritto, perché prima del 2011 il Parlamento non era coinvolto nella decisione sulla durata della legislatura, ed una sorpresa nei fatti per le già illustrate ragioni di non convenienza politica. Sembrerebbe che la cultura maggioritaria abbia preso il sopravvento sull’opportunità politica[14] e abbia indotto l’opposizione ufficiale a compattarsi intorno alla volontà del leader del partito e a non sottrarsi al confronto elettorale. Così, contrariamente ad ogni previsione, turkeys voted for Christmas.

 

 

[2] Prima del voto di giugno 479 deputati si erano schierati a favore del «remain» (fra cui 185 conservatori, 218 laburisti, 54 indipendentisti scozzesi, 8 liberal-democratici, 4 deputati del Sinn Fein, 3 del Plaid Cymru e 4 del Social Democratic and Labour Party) a fronte dei 158 posizionati a favore del «leave» (fra i quali 138 conservatori, 10 laburisti e 8 deputati del Democratic and Unionist Party). Come è noto, invece, al voto di giugno ha preso parte il 72,2% degli aventi diritto: il 51,9% degli elettori (17.410.742) si è espresso a favore del «leave» e il 48,1% (16.141.241) a favore del «remain».

[3] In base al Fixed Term Parliaments Act le elezioni avrebbe dovuto tenersi il 7 maggio 2020.

[4] R (Miller) v SS for Exiting the European Union [2016] EWHC 2768 e R (Miller) v SS for Exiting the European Union [2017] UKSC 5.

[5] Al termine della seconda lettura, il 1 febbraio 2016 (divisione n. 135), 498 deputati hanno votato per il passaggio alla terza, mentre 114 hanno votato contro. Il progetto di legge ha superato anche la terza lettura con il voto favorevole di 499 deputati e contrario di 122 (8 febbraio 2016, divisione n. 161).

[6] Approvate il 12 ottobre e il 7 dicembre 2016.

[7] La legislatura si chiude con una working majority di 17 deputati per il partito conservatore, ma una serie di suppletive all’orizzonte avrebbero potuto assottigliere il già ridotto margine di manovra della maggioranza.

[8] Forse questo è il passaggio più convincente del dibattito parlamentare, ove la May ha fatto riferimento ad una fatale coincidenza tra la conclusione biennale della trattativa europea (2019) e le elezioni politiche generali (2020).

[9] J. King, May’s Gambit, U.K. Const. L. Blog (19 aprile 2017) in https://ukconstitutionallaw.org/.

[10] Meno problematica la posizione del partito nazionalista scozzese che, fortemente radicato in una regione del Paese, dovrebbe mantenere inalterato il livello del consenso elettorale, anche in forza della vocazione europeista della regione.

[11] V. A. Renwick, The Fixed-term Parliaments Act and the snap election, The Constitution Unit blog (18 aprile 2017).

[12] Nota il modo in cui il Primo Ministro ha “utilizzato” a prioprio favore il dato normativo G.F. Ferrari, Brexit e le elezioni britanniche, http://www.dpce.it/forum-dpce-online-brexit-brexit-e-le-elezioni-britanniche.html. Evidenzia invece lo stile primoninisteriale della May G. Caravale, “Snap election” e “stronger leadership”: gli obiettivi di Theresa May, http://www.dpce.it/forum-dpce-online-snap-election-e-stronger-leadership-gli-obiettivi-di-theresa-may.html.

[13] Il fronte del sì era così composto: 325 conservatori, 8 deputati del Democratic Unionist Party, 1 verde, 1 indipendente, 174 laburisti, 8 liberal-democratici, 3 deputati del Plaid Cymru e 2 dello Ulster Unionist Party. Quello del no conta 9 deputati laburisti, 3 indipendenti e 2 social democratico. I deputati dello Scottish National Party si sono invece astenuti.

[14] Evidenzia la preponderanza della cultura politica sulle regole del diritto C. Martinelli, Una dissolution piena di paradossi, http://www.dpce.it/forum-dpce-online-westminister-una-dissolution-ricca-di-paradossi.html.