Il tema della legislazione per l’elezione del Parlamento europeo è circondato da qualche anno da un insolito silenzio. Responsabili del sipario calato su questo argomento sono le incertezze dell’Unione nel ridefinire e approfondire un quadro normativo omogeneo, con chiari principi direttivi, così come le reticenze dei parlamenti nazionali a rivisitare le loro rispettive normative, malgrado i chiari segnali di disaffezione che accompagnano ormai cronicamente le competizioni per la conquista dei seggi nell’assemblea legislativa dell’Unione.
Sul piano politico, il tema ritrova oggi una notevole attualità dopo l’accoglimento da parte del Parlamento di Strasburgo, al termine del dibattito avviato il 27 ottobre scorso, della proposta per un insieme di riforme strutturali dell’atto elettorale del 1976 contenente le disposizioni comuni a tutti gli Stati membri.
Il Parlamento europeo ha tenuto a sottolineare che le disparità che contraddistinguono le diverse legislazioni elettorali fra loro minano alla radice la nozione di cittadinanza europea, così come l’effettività del principio di eguaglianza.
Quest’opera di ammodernamento dell’atto elettorale europeo, sulla base dell’articolo 223.1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, si basa sulla constatazione che le elezioni europee continuano a mantenere un carattere estremamente nazionale e che occorre rilanciare l’interesse dei cittadini e la loro partecipazione al processo decisionale in Europa. Tra i punti nevralgici di questa proposta di riforma spiccano già la previsione di capilista (“Spitzenkandidaten”) per la Presidenza della Commissione europea, i correttivi alla soglia di sbarramento obbligatoria, il voto all’estero, i sistemi di voto elettronico, la crescita di visibilità dei partiti europei e dell’affiliazione ad essi dei partiti nazionali, la creazione di una circoscrizione elettorale transfrontaliera guidata dal candidato di ogni famiglia politica al posto di Presidente della Commissione.
Per capire meglio la posta in gioco di questa complessa partita per la riformulazione delle normative elettorali europee c’è oggi una guida completa e approfondita a disposizione degli studiosi. In essa si ricostruisce il mosaico delle legislazioni nazionali in questa intricata materia, grazie ad un’opera cooperativa autenticamente europea realizzata da un nutrito plotone di esperti sotto la direzione di una competente studiosa italiana, Donatella M. Viola, che ha saputo ricostruire con un lavoro ciclopico la tela di questa frastagliata normativa, ma anche mettere in luce gli effetti concreti che essa ha prodotto, paese per paese, negli stati membri dell’Unione. Un robusto ed articolato contributo scientifico, al tempo stesso documentale e analitico, pubblicato da Routledge con il titolo “Routledge Handbook of European Elections” che presenta un’approfondita esplorazione sia della normativa in vigore in ognuno degli stati membri che del contesto politico in cui le stesse si svolgono e dell’impatto che hanno prodotto finora le diverse regolamentazioni applicate.
Con il supporto di una robusta cornice metodologica, l’opera confronta dati e risultati attraverso l’analisi svolta da ben ventisette diversi autori, seguendo uno schema rigorosamente omogeneo. Va perciò salutato con particolare apprezzamento l’approccio collettivo ad una tematica così vasta, ma che nonostante il numero elevatissimo degli autori non sconta alcuna disarmonia tra i singoli contributi, tutti rigorosamente inquadrati in un format omogeneo che rende agevole anche lo studio orizzontale delle singole problematiche rappresentate.
Per ogni paese emergono in maniera sintetica e chiara, oltre ai dati sintetici della legislazione elettorale, il profilo storico e geopolitico, la geografia dei partiti e l’atteggiamento dell’elettorato rispetto all’Unione europea. Lo studio si conclude con un’efficace e sintetica comparazione che investe anche l’attuale composizione partitica e di genere dell’assemblea eletta nel 2014.
I dati rappresentati, a partire da quello inquietante dell’astensionismo, con punte di partecipazione sprofondate ad esempio nel 2014 in Slovacchia al 16%, configurano una radiografia impietosa quanto indispensabile dello stato di salute della democrazia europea, con tutte le sue particolarità intrastatuali.
La pubblicazione di quest’opera, come sottolinea Joseph H.H. Weiler nell’introduzione, giunge in un momento quantomai opportuno, benché la storia delle elezioni europee sia stata finora una “sorry narrative” e quest’organo continui a scontare la debolezza di non essere in grado di esprimere un vero e proprio rapporto fiduciario con la Commissione europea.
Gli studiosi dei sistemi elettorali non potranno ignorare questi dati e le loro cause, nel momento in cui, probabilmente fra non molto tempo, si confronteranno con le riforme a livello nazionale dei rispettivi sistemi elettorali europei; e queste riforme non potranno non tenere conto, ad esempio, dello spazio enorme che i macrocollegi disegnati finora dai paesi di superficie più vasta hanno lasciato alle forze populiste e antieuropee, al punto da trasformare l’arena di Strasburgo nel loro più confortevole quartier generale e nella loro miglior tribuna.
L’eventualità che, oltre alle tendenze xenofobe, anche le tematiche religiose diventino un crescente catalizzatore di consenso nelle future tornate elettorali dovrebbe fare ripensare seriamente al paradosso attuale di una legislazione che ha ingiustamente punito, anche in Italia, le rappresentanze regionali periferiche (molte piccole regioni non riescono nemmeno ad avere un eletto) e la maggior parte delle minoranze linguistiche storiche (con la sola reale eccezione di quella sudtirolese). Una vicenda ben riassumibile nel paradosso della Sardegna, regione di un milione e seicentomila abitanti che a stento (e nemmeno sempre) riesce ad avere un proprio eletto al Parlamento europeo.
Occorre ricordarsi che i sistemi elettorali, anche a livello europeo, restano un fattore chiave della democrazia, non soltanto per la composizione dell’organo elettivo ma in quanto elemento essenziale per una corretta relazione fra i rappresentanti e i rappresentati che li hanno votati.
Nutrite pattuglie di eurodeputati sono oggi del tutto privi di collegamento con i territori, in quanto eletti in megacircoscrizioni di milioni di elettori e non riflettono un rapporto di reale rappresentanza, facendo apparire del tutto inconsistente il rapporto fra la scelta dell’elettore e il destino concreto del suo voto.
L’analisi che conduce ‘sul campo’ il collettivo coordinato da Donatella M. Viola da puntualmente conto delle profonde asimmetrie e differenze nel retroterra elettorale, prendendo in considerazione i diversi cleavages come quelli fra paesi grandi e piccoli, con tutte le loro peculiarità storiche, economiche e geopolitiche, così come la divaricazione fra le ‘vecchie’ e le ‘nuove’ democrazie, fra i paesi pro-europei e anti-europei, fra quelli pro-euro e quelli anti-euro.
Naturalmente l’analisi tiene nella debita considerazione anche i fattori di natura più congiunturale, come la crisi economica, e il fatto che l’apparato di Bruxelles è diventato il capro espiatorio delle difficoltà contingenti e l’emblema, in particolare, delle politiche di austerità. Paradossalmente, come notava già alcuni anni fa Joseph H.H. Weiler, il calo di consenso e di legittimità dell’Assemblea legislativa europea coincide proprio con il periodo di maggior crescita e di più intenso consolidamento dei suoi poteri legislativi.
Un’enorme massa di dati e di informazioni è passata in questo volume al vaglio di due ipotesi interpretative principali.
La prima è la Second-Order Election Theory, che interpreta l’appuntamento elettorale dell’Unione come mid-term test, una specie di prova generale della successiva competizione su scala nazionale, per cui prevarrebbero sempre e fatalmente in essa le fratture interne della politica nazionale.
La seconda, e più recente, è la Europe Salience Theory, nuova cornice concettuale che poggia su tre constatazioni che riguardano rispettivamente la crescita delle forze ambientaliste rispetto ai risultati conseguiti nelle contese elettorali nazionali, il rafforzamento in questa competizione dei partiti che si collocano agli estremi, tanto a destra quanto a sinistra, ed infine il successo che conseguono ripetutamente in questo agone i partiti anti-europei.
La difficoltà nel formulare conclusioni definitive rispetto alla prevalenza dell’una o dell’altra è legata ai risultati non del tutto convergenti riscontrati nei singoli quadri nazionali di analisi, dove però emergono preziose e utili distinzioni in ordine alle motivazioni dell’euro-scetticismo (nelle sue versioni hard e soft) e alla sua diversa incidenza nei paesi di tradizione più pro-europea, come l’Italia, in quelli più segnati dalla presenza di partiti ostili all’allargamento (come l’Austria) e nei paesi post-comunisti, dove affiora l’inquietante sospetto che l’adesione all’Unione europea sia stato solo, in fondo, un matrimonio di convenienza.
Nessuno dei modelli teoretici ricordati in precedenza può ricondurre a definitiva unità un quadro così articolato, come suggerisce riassuntivamente Donatella M. Viola nelle sue conclusioni, ma questo non deve scoraggiare dal proposito di perseguire la costruzione di uno schema più uniforme di voto per rimuovere alcune delle distorsioni che si riscontrano e che si pongono in evidente contraddizione con l’inclinazione naturale del Parlamento europeo ad assumere la guida politica reale dell’Unione mediante un legame più saldo fra i suoi componenti e la cittadinanza che li esprime. Un’aspirazione che dovrebbe essere sigillata da un più diretto e concreto rapporto di accountability, rendendo finalmente le questioni europee, nel loro complesso, “less dull, less obscure and less technocratic”.
Questo libro sarò letto con grande interesse dagli studiosi di scienza politica, ma anche i giuristi vi troveranno un aiuto chiaro, particolarmente copioso nella sua messe di informazioni e insostituibile per preparare seriamente il dibattito di stringente attualità sulla riconquista della legittimità popolare da parte del Parlamento europeo.