di Marco Antonio Simonelli

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con una decisione pubblicata il 12 giugno 2017, purtroppo non del tutto inaspettata, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un insegnante turco licenziato a seguito del fallito colpo di stato del luglio 2016.

Gli antefatti sono tristemente noti, non è dunque necessario ricostruirli in questa sede, se non per quanto riguarda più da vicino la nostra vicenda.

Il ricorrente nel caso in commento è un maestro elementare che a 4 giorni dalla dichiarazione dello stato d’emergenza, avvenuta il 21 luglio 2016, viene sospeso dalle sue funzioni.

Con il successivo decreto legge n. 672 del 1 settembre 2016, 28.163 tra funzionari e dipendenti del Ministero dell’istruzione - la maggior parte dei quali insegnanti - vengono licenziati con conseguente perdita del diritto al trattamento pensionistico. Tra i nominativi  contenuti in un allegato al decreto vi è anche quello di Mohammed Gökhan Köksal, il ricorrente.

Il 28 settembre dello stesso anno quest’ultimo decide di adire la Corte costituzionale. Come evidenziato dalla stessa Corte Edu, questo ricorso, come gli altri 60,000 presentati dalle vittime delle epurazioni di massa, è a tutt’oggi pendente. Inoltre, si deve sottolineare che la Corte costituzionale turca con due distinte pronunce ha dichiarato la propria incompetenza a sindacare la costituzionalità dei decreti legge emessi in stato d’emergenza. Avendo riguardo alla consolidata giurisprudenza EDU, quindi, un ricorso di fronte a questa Corte non potrebbe essere considerato “effettivo”.

Il ricorso di Köksal viene tuttavia dichiarato inammissibile dalla Corte Edu in quanto il decreto legge n° 685/2017 ha introdotto la possibilità per i soggetti licenziati in forza delle liste allegate ai decreti legge - come il ricorrente - di adire una Commissione appositamente istituita, la “Inquiry Commission on State of Emergency Measures”. Questa commissione, composta da 7 membri - due nominati dal Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori, tre dal primo ministro, uno dal ministro della giustizia e uno dal ministro degli interni - è chiamata a decidere in prima istanza i ricorsi; contro le sue decisioni il decreto legge n° 685 consente di ricorrere all’autorità giurisdizionale, fino ad arrivare alla Corte costituzionale. Già la Commissione di Venezia, con l’ “Opinion on the measures provided in the recent emergency decree laws with respect to freedom of the media”, ha evidenziato diverse criticità concernenti le modalità operative e l’indipendenza di quest’organo.

In primo luogo, nell’opinione si evidenzia come 5 membri dell’organo siano selezionati dal Governo mentre è sufficiente una maggioranza di soli 4 membri per adottare le deliberazioni. Ciò va dunque ad evidente detrimento di un’effettiva indipendenza del collegio.

In secondo luogo, il fatto che questo organo ad hoc sia destinato ad operare per soli due anni, unitamente al fatto che dovrebbe trattare circa 130.000 ricorsi, rende improbabile che questo possa delibare accuratamente un numero così alto di richieste.

Da ultimo, il fatto che il summenzionato decreto legge non disciplini i poteri di questa commissione d’inchiesta fa sorgere seri dubbi circa l’effettività di un simile rimedio.

Nondimeno, la Corte Edu, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha imposto al ricorrente di “de tester les limites de cette nouvelle voie de recours”. Una simile presa di posizione oltre a non considerare in alcun modo il parere espresso dalla Commissione di Venezia, non può mancare di sollevare diverse perplessità soprattutto con riguardo alla precedente giurisprudenza della Corte. Di fatti, come del resto la stessa Corte non può fare a meno di ammettere, la Inquiry Commission on State of Emergency Measures, è stata istituita con decreto legge adottato in data 2 gennaio 2017; mentre il ricorso di M. Gökhan Köksal è pervenuto alla Corte il 4 novembre 2016. La Corte di Strasburgo è quindi costretta a dipartire dal consolidato principio secondo il quale “l’épuisement des voies de recours internes s’apprécie normalement à la date d’introduction de la requête devant elle” salvo poi ricordare che tale regola - come del resto ogni regola - non è priva di eccezioni e la Corte ritiene appunto che un’eccezione ricorra nel caso sottoposto alla sua attenzione. In verità la Corte di Strasburgo, nel prendere questa decisione si è potuta appoggiare su un precedente, sia pure unico. Nella decisione Brusco c. Italia, infatti, aveva dichiarato inammissibile un ricorso per violazione dell’art. 6 CEDU in relazione all’eccessiva durata del procedimento, in quanto il Parlamento, anche se in data successiva a quella della presentazione della richiesta, aveva approvato una legge - la c.d. legge Pinto - che istituiva a livello domestico un procedimento per la riparazione del danno subito in conseguenza dell’irragionevole lunghezza del procedimento.

La decisione sembrerebbe dunque avere una sia pure fragile base nel case-law di Strasburgo; tuttavia un ulteriore elemento deve essere preso in considerazione. Anche avendo riguardo alla data della decisione, la commissione d’inchiesta non era ancora operativa - il Governo turco si è impegnato ad effettuare le nomine entro il 23 luglio 2017 - il che significa, in altre parole, che la Corte Edu ha ritenuto effettivo un rimedio non ancora esistente, rilasciando quindi un attestato di fiducia alle autorità turche che appare quantomai inopportuno. Il provvedimento reso dai giudici di Strasburgo, peraltro votato all’unanimità, da un punto di vista strettamente giuridico è abnorme. Purtroppo le ragioni di perplessità non si fermano qui.

Innanzitutto, sorprende negativamente il fatto che non venga mai affrontato il problema dell’effettiva indipendenza della commissione d’inchiesta, problema che pure era stato evidenziato dalla Commissione di Venezia. Al contrario la Corte arriva ad affermare di non disporre “d’aucun élément qui lui permettrait de dire que celle-ci n’était pas susceptible d’apporter un redressement approprié aux griefs du requérant tirés des dispositions de la Convention et qu’elle n’offrait pas des perspectives raisonnables de succès”. Tuttavia, il parere delle Commissione di Venezia, deliberatamente ignorato dai giudici della seconda sezione, evidenzia molteplici elementi che inducono a dubitare dell’effettività di un simile mezzo di gravame.

Stupisce, inoltre, come la Corte insista nel non dichiarare l’ineffettività del ricorso alla Corte costituzionale. Già con le tre decisioni dell’inverno appena passato (Mercan, Zihni e Katal)[1], la Corte Edu ha dichiarato il non esaurimento dei rimedi interni - e la conseguente inammissibilità dei ricorsi ex art. 35.1 CEDU - a causa del mancato esperimento del ricorso alla Corte costituzionale, nonostante quest’ultima sia stata essa stessa protagonista delle epurazioni (avendo rimosso due dei suoi membri con una propria decisione non fondata su alcuna prova di coinvolgimento nel colpo di Stato o di appartenenza a una organizzazione terroristica) e abbia inoltre dichiarato (sia pure nel giudizio in via principale e astratta promosso dall’opposizione) la propria incompetenza a sindacare la costituzionalità dei decreti legge emessi in stato di emergenza.

Il fatto di avere dichiarato inammissibile il ricorso in virtù dell’istituzione di un nuovo rimedio interno e al contempo il non avere speso una parola circa l’effettività del ricorso alla Corte costituzionale, sembra lasciar trapelare un’incertezza da parte della stessa Corte di Strasburgo circa l’effettiva entrata in vigore della commissione d’inchiesta. Di fatti, qualora la commissione non dovesse mai operare in concreto, la Corte potrà comunque continuare a dichiarare irricevibili i ricorsi avendo riguardo al suo precedente case-law la cui validità non è stata intaccata dalla decisione qui commentata.

In ultima analisi, questa decisione denuncia l’impotenza della Corte di Strasburgo a prevenire violazioni dei diritti umani se gli Stati membri non si mostrano disponibili a dare esecuzione alle sue sentenze e conferma altresì l’impressione che la Corte adotti standard di tutela “a geometria variabile” a seconda dello Stato rispondente.

Per quanto attiene invece alla situazione turca l’impressione che si ricava da un’attenta lettura di questa pronuncia, soprattutto se fatta in combinato con le tre decisioni di inammissibilità di quest’inverno, è che sia un’altra “porta in faccia” ai cittadini turchi colpiti dalle epurazioni seguite al colpo di stato del 15 luglio.

 

[1] Per un commento a questi si casi si veda: V. Scotti, Il golpe in Turchia e la Corte europea dei diritti umani: brevi note critiche sulle decisioni di irricevibilità per il mancato previo esperimento dei ricorsi interni, in Osservatorio AIC, 1/2017.