di Luigi Melica - 14 luglio 2017 

Senza alcuna pretesa di essere esaustivo nelle poche righe che seguiranno, colgo l’occasione dell’invito del Presidente Frosini per formulare alcune osservazioni su un tema avvincente oltre che a me molto caro: quello della cittadinanza versus immigrazione. Ho letto con interesse le osservazioni degli illustri colleghi, Sbailò e Ceccanti e, nella speranza di arricchire il dibattito, vorrei utilizzare la seguente chiave di lettura: inizialmente, valuterò l’impatto tra la proposta della legge sulla cittadinanza e la disciplina vigente in materia di immigrazione; poi, una volta delineato il quadro di insieme, proverò a desumere la scelta politica che ha ispirato la proposta medesima attualmente in discussione al Senato.                                                                                                                                                                                           Per esigenze di spazio, mi soffermerò essenzialmente sulle seguenti fattispecie:  a) acquisizione della cittadinanza di chi, nasce in Italia, da genitori dei quali almeno uno sia stabilmente residente in Italia, con permesso di soggiorno illimitato; b) acquisizione della cittadinanza su richiesta di chi, nato in Italia vi abbia riseduto fino al raggiungimento della maggiore età; e ,c) di chiunque, con genitore legalmente residente in Italia sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso prima dei 12 anni e abbia seguito un regolare corso di studi, conclusosi positivamente.                                                                                               

Come sottolineavo più sopra la disciplina sulla cittadinanza deve inevitabilmente collegarsi a quella vigente in materia di immigrazione; in particolare, ritengo utile richiamare, accanto alle disposizioni in materia di residenza che subordinano l’iscrizione anagrafica al possesso di un qualsiasi permesso di soggiorno in corso di validità, l’art. 4 bis che regola gli accordi di integrazione e l’art. 19 che regola i divieti di espulsione e di respingimento di persone appartenenti a categorie vulnerabili. Quest’ultima disposizione decreta l’inespellibilità, rispettivamente, degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana e delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. Trattasi di importanti deroghe alle regole sull’espulsione dei cittadini extracomunitari che non possono non riflettersi sulle fattispecie di acquisizione della cittadinanza sopra richiamate: mi riferisco, in primo luogo, all’ipotesi della cittadinanza su richiesta di  “chiunque, figlio di un genitore legalmente residente, sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso prima dei 12 anni e abbia seguito un regolare corso di studi, conclusosi positivamente”.                                                                                                                                                                                           Coniugando le norme contenute nelle distinte discipline, infatti, si rileva che i genitori del richiedente la cittadinanza di cui alla fattispecie sopraccitata, in base al TU immigrazione, potrebbero ottenere la residenza anagrafica esibendo un qualsiasi permesso di soggiorno; in particolare, senza essere esaustivi: per motivi di lavoro, famiglia, studio, affari, protezione sussidiaria, umanitari, richiesta di protezione internazionale (ossia persone identificate dopo essere entrate in Italia con le navi a con altri vettori), cure mediche, stato di gravidanza, eccetera.  Ne consegue, che alla nascita di un figlio in Italia, la madre titolare di uno dei permessi di soggiorno di cui sopra ha diritto a presentare la richiesta di cittadinanza a favore del proprio figlio. Indi, una volta acquisito lo status di cittadino, la medesima potrà convertire il proprio titolo di soggiorno in motivi di famiglia; non solo, ma gli altri parenti entro il secondo grado (fratelli, sorelle, nonni) conviventi potrebbero ottenere analoga autorizzazione: tutti quanti diverrebbero inespellibili.

Non vedo ostacoli insormontabili al perfezionamento di questa procedura. Infatti, anche considerando che lo status di cittadino sopra descritto si acquisisce a richiesta e non automaticamente è plausibile che i genitori del richiedente, anche se titolari di un permesso che scade durante l’iter procedimentale di acquisizione della cittadinanza del proprio figlio, possano comunque rimanere sul territorio, se non per decisione dell’autorità, in via giurisprudenziale, in vista - per l’appunto – per parte di figlio, del riconoscimento dello status di cittadino e per loro parte dell’applicazione dell’art. 19 del TU e della loro inespellibilità dal Paese. Tale iter, infatti, non può, né essere eccessivamente lungo in quanto i requisiti richiesti dalla proposta di legge sono di immediata acquisizione dall’autorità decidente, né essere sottoposto alla totale discrezionalità della medesima autorità considerato che per unanime giurisprudenza amministrativa l’eventuale diniego non può – come si verificava in passato – essere motivato da lapidari quanto illegittimi motivi di “interesse pubblico”.  

Lo stesso ragionamento vale nel caso di minore non accompagnato che entra in Italia prima dei dodici anni, il quale, in base all’ordinamento vigente, ha diritto a rimanere sul territorio ed a vedersi assegnato un tutore; in questo caso, sempre in base alla proposta, una volta superato positivamente un regolare corso di studi, il minore - per il tramite del tutore - può richiedere la cittadinanza. Anche in questa ipotesi l’acquisizione della cittadinanza fa scattare una serie di situazioni giuridiche soggettive tutelabili dall’ordinamento a favore dei suoi parenti che nel frattempo sono rimasti nel Paese di origine e che possono raggiungerlo in un secondo momento, allorquando è acquisita la cittadinanza.                                      

Degli stessi vantaggi possono godere i genitori con figli in età scolare che entrano in Italia per chiedere protezione internazionale; durante l’iter procedimentale della richiesta di protezione, infatti, i genitori possono ottenere rapidamente la residenza in Italia ed i figli devono frequentare i corsi di studi corrispondenti alla loro età. Pertanto, una volta che questi ultimi superano positivamente tali  corsi, i genitori chiederanno per loro conto la cittadinanza italiana, con la certezza, una volta acquisito lo status, di mutare il proprio permesso di soggiorno da richiesta di protezione internazionale in un permesso molto più rassicurante in quanto illimitato, peraltro estensibile a tutti i parenti entro il secondo grado conviventi.

Preme aggiungere ad abundantiam che tali regole si applicano, a maggior ragione, nel caso di cittadinanza ottenuta automaticamente per chi nasce in Italia, da genitori dei quali almeno uno sia stabilmente residente in Italia, con permesso di soggiorno illimitato. La cittadinanza acquisita dal nato in Italia rende infatti inespellibili tutti i parenti conviventi entro il secondo grado. 

Conclusivamente, se si applicano le nuove norme sulla cittadinanza combinatamente alla legge sull’immigrazione è possibile che un numero considerevole di persone, anche presenti irregolarmente sul territorio possano ottenere un’autorizzazione a rimanervi illimitatamente, considerando, peraltro, che i genitori del minore italiano sono protetti dalla espulsione anche nel caso in cui commettano  reati di una certa gravità (sul punto di recente Corte di Giustizia nelle cause n. C-304/14 de C-165/14 del 13 settembre 2016).                                                                       

Volendo formulare una brevissima conclusione dalla panoramica delle situazioni succintamente descritte con l’auspicio di ricavare l’opzione politica che può avere ispirato il legislatore, è plausibile pensare che l’obiettivo preso di mira è il calo demografico della popolazione che induce ad allargare le ipotesi di acquisizione dello status civitatis, permettendo a persone straniere di minore età che hanno un legame col territorio dovuto alla nascita nel medesimo o all’ingresso in età scolare, di diventare cittadini anche se i genitori non hanno mai lavorato in Italia, con l’ulteriore particolarità, una volta acquisito lo status di cittadino, di regolarizzare tutti i parenti entro il secondo grado proprio al fine di avere maggiori certezze di vita sul territorio. Tale opzione sembrerebbe ricalcare le ordinanze francesi post seconda guerra mondiale quando il legislatore aveva la necessità di trovare ovunque dei “buoni francesi” per fare fronte al calo demografico smisurato dovuto alle guerre combattute nei secoli precedenti. Chi scrive, quando studiava il diritto dell’immigrazione ha pubblicato diversi contributi significativamente aperti al pluralismo culturale collegato al fenomeno migratorio; inoltre, da giovane avvocato ha spesso criticato anche aspramente la negazione dei diritti degli immigrati da parte degli uffici pubblici ed in particolare di alcune Questure italiane[1]; tuttavia, le opzioni politiche alla base della proposta in corso di discussione al Senato non sembrano idonee a soddisfare le citate necessità avvertite dall’Italia nel presente momento storico; le aperture sono tali da far sorgere il sospetto che il legislatore non abbia valutato ponderatamente l’impatto della proposta sull’ordinamento vigente. Pur salutando con favore l’intento del legislatore di mettere mano ad una materia che necessita modifiche alla luce dell’evoluzione del fenomeno migratorio, mi permetto tuttavia di suggerire una parziale revisione del testo se non altro per “sanare” le troppe “sanatorie” che esso implica.   

 

[1] Una citazione per tutti: chiedete ai colleghi e amici Luca Mezzetti e Valeria Piergigli che erano tra le mie vittime preferite di lunghe riflessioni su temi che a loro – comprensibilmente – interessavano poco.