di Chiara d’Alessandro - 27 settembre 2018 

Il 24 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il c.d. pacchetto sicurezza, contenente una serie di misure volte a migliorare e garantire la sicurezza dei cittadini sul territorio nazionale. Il corposo decreto, fortemente voluto dal Ministro degli Interni Matteo Salvini, si compone di 44 articoli in cui le misure per gestire l’immigrazione sono il tema forte. Il decreto provvede, infatti, anche all’unificazione dei due precedenti testi sui migranti. Tra le misure sul tema vi sono: l’aumento da tre a sei mesi della durata del trattenimento nei CPR (centri per rimpatri dei migranti irregolari), al fine di consentire la corretta identificazione dei migranti; l’aumento degli stessi CPR su tutto il territorio nazionale; una stretta sulla concessione dello status di rifugiato in caso di rientro nella nazione di provenienza, nonché una stretta sulla concessione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari. Di ancora maggiore rilevanza sembrano essere le misure contenute nel “pacchetto” che prevedono la sospensione della domanda di asilo, nel caso in cui il soggetto venga dichiarato “pericoloso socialmente”, ovvero venga condannato in primo grado per quei reati che comportano una minaccia all’ordine pubblico (spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, violenza a un pubblico ufficiale etc..) e, ancora, la revoca della cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo o per aver attentato alla sicurezza nazionale (la revoca avverrebbe tramite decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Ministro degli Interni entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza definitiva). Indubbiamente queste ultime disposizioni sono quelle che hanno già ampiamente accesso il dibattito sulla legittimità costituzionale di queste misure, soprattutto con riguardo alla revoca della cittadinanza in riferimento a più di una disposizione costituzionale, basti pensare già solo all’art. 22 che, come noto, stabilisce il principio per cui non si può essere privati di essa, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici.

Pur senza entrare nel merito del dibattito sulla legittimità costituzionale della revoca della cittadinanza, appare comunque utile allargare lo sguardo oltralpe, in particolare verso la Francia. Nello specifico all’indomani dei drammatici attentati terroristici del novembre 2015 l’allora Presidente della Repubblica François Hollande, pronunciava a Versailles un solenne discorso alla Nazione in cui affermava senza mezzi termini «nous sommes en guèrre» e, nel disporre la dichiarazione de l’état d’urgence in virtù della legge 55-385, annunciava l’intenzione di presentare alle Camere un progetto di revisione costituzionale che avrebbe costituzionalizzato l’état d’urgence, tramite la modifica dell’art. 36-1 e, soprattutto,  avrebbe comportato l’inserimento in Costituzione di un nuovo art. 3-1 che prevedeva  proprio la revoca della nazionalità francese a quei cittadini che, nati in Francia ma bi-nazionali, venivano condannati in via definitiva per il compimento di crimini lesivi dei fondamentali interessi della Nazione o di atti di terrorismo. Com’è noto il Presidente Hollande, già in una situazione di difficile crisi politica registrò, sul punto, un totale fallimento. Il progetto, infatti, si arenò in Parlamento proprio sulla questione della revoca della cittadinanza e, dopo quattro mesi di estenuanti dibattiti politici e costituzionali, la faccenda si concluse con il ritiro del progetto di revisione da parte di Hollande, e le dimissioni dell’allora Ministro della Giustizia Christiane Taubira. Il punto su cui più di tutti si accese il contrasto politico fu la questione dell’applicazione o meno della revoca ai soli cittadini con doppio passaporto escludendo, invece, quelli con un solo passaporto, che sarebbero divenuti apolidi nel caso di applicazione della misura.

L’effetto delle due previsioni sarebbe identico ovvero punire con l’incisiva sanzione della perdita della cittadinanza quei soggetti che mostrassero una grave disaffezione verso lo Stato accogliente commettendo reati contro l’ordine pubblico o addirittura crimini di terrorismo internazionale, analogamente peraltro a quanto avviene negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Certo, la differenza c’è ed è importante, perché, nel caso francese, si sarebbe trattato di una modifica della carta costituzionale che avrebbe definitivamente cambiato le caratteristiche fondamentali relative alla cittadinanza di alcuni individui in condizioni particolari.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, si è scelta la strada più semplice del decreto legge che, per il momento, ha incassato “solo” il successo dell’approvazione unanime da parte del Consiglio dei Ministri, ma che dovrà superare, a breve, non pochi ostacoli: quello della conversione in legge da parte del Parlamento e, prima ancora, la firma del Capo dello Stato – che potrebbe non essere così scontata – così come le prevedibili successive, eccezioni di incostituzionalità.

Allo stato, dunque, è troppo presto per sapere cosa il Ministro Salvini riuscirà effettivamente a “portare a casa” delle misure del “pacchetto sicurezza”, nel frattempo il Ministro si è già affrettato a dichiarare che il decreto non è “blindato”, mostrando la consapevolezza delle molte possibili modifiche che potrebbero essere apportate al provvedimento.