[FORUM DPCE Online - Turchia] Le incertezze della (eventuale) transizione costituzionale in Turchia
di Mauro Mazza
Il progetto di riforma costituzionale approvato dal Parlamento turco (in prima lettura il 15 gennaio e in seconda lettura, con 339 voti favorevoli) il 21 gennaio 2017, con la legge costituzionale n. 6771, verrà sottoposto a referendum popolare il prossimo 16 aprile. Le modifiche adottate nel progetto di revisione, composto di 18 articoli, se saranno effettivamente introdotte nella Costituzione del 1982, formata da 177 articoli, disegneranno il passaggio dalla attuale forma di governo semipresidenziale a quella presidenziale (c.d. TRexit from parliamentary democracy).
Sulla base del testo di riforma costituzionale licenziato dal Parlamento nazionale (nonché ratificato dal Presidente della Repubblica il 10 febbraio 2017) e in attesa dell’esito della consultazione popolare, che comporterà l’approvazione del progetto di riforma se i voti favorevoli saranno oltre la metà del numero dei voti validamente espressi (ex art. 175, c. 5, Cost.,), le modificazioni apportate alla lex fundamentalis attribuiscono grandi poteri al Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica diventa anche il capo dell’Esecutivo, con abolizione della carica di Premier/Primo Ministro (sostituito dalle nuove figure dei Vice-Presidenti). Il Capo dello Stato ha il potere di nominare (e rimuovere) sia i ministri (senza bisogno di alcun voto parlamentare di fiducia) che 6 su 13 componenti dell’organo di autogoverno della magistratura, vale a dire del Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori. Inoltre, il Presidente della Repubblica può sciogliere il Parlamento e proclamare lo stato di emergenza nel Paese. A ciò si aggiunga che i giudici costituzionali, il cui numero viene ridotto da 17 a 15, sono designati in maggioranza (12) dal Capo dello Stato. Non meno rilevante è che, dopo la revisione costituzionale del 2017, e a condizione, naturalmente, che la riforma medesima sia confermata dal voto referendario, l’attuale Presidente Erdoğan potrà candidarsi per altri due mandati, rimanendo potenzialmente al vertice del potere statale sino al 2029. Altri aspetti della riforma costituzionale riguardano l’aumento dei membri del Parlamento unicamerale (Grande Assemblea Nazionale), che passano da 550 a 600, e l’abbassamento dell’età per l’elettorato passivo (per la carica di deputato), da 25 a 18 anni. Inoltre, la durata ordinaria della legislatura viene estesa (da 4 a 5 anni), con la previsione delle elezioni presidenziali contestuali a quelle per il Parlamento nazionale (le prossime elezioni sono previste per il 2019; si osserva per incidens che il potere del Capo dello Stato di sciogliere il Parlamento potrebbe essere de facto limitato dal timing elettorale, ossia dalla previsione della contestualità delle elezioni politiche e presidenziali).
Non è la prima volta che la Turchia (recte: il Governo turco) ha tentato, negli anni più recenti, di trasformare la forma di governo, con lo scopo principale di assegnare al Capo dello Stato più ampi poteri di indirizzo politico e di controllo e, così, di operare la transizione verso il presidenzialismo, o più esattamente nella direzione di una iperpresidenzializzazione (“Turkish style” presidency, forse definibile nuova versione del sultanato islamista). Le ultime elezioni parlamentari si sono svolte il 1° novembre 2015. L’allora (come, del resto, ora) Presidente Erdoğan, leader (nonché fondatore, nel 2001) del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di orientamento islamista e conservatore (al potere dal 2002), aveva auspicato il raggiungimento da parte della formazione politica da lui guidata dei due terzi dei seggi del Parlamento nazionale, con l’intento di approvare una riforma costituzionale presidenzialista senza essere costretto a sottoporre il testo adottato dall’Assemblea parlamentare al referendum popolare (in conformità alle previsioni contenute nell’art. 175, c. 4, della Costituzione turca, modificato nel 1987). In quell’occasione, tuttavia, l’AKP ottenne il 49,5% dei suffragi, con un tendenziale incremento rispetto alle tornate elettorali precedenti (34,3% nel 2002, 46,6% nel 2007, 49,8% nel 2011 e 40,9% il 7 giugno 2015), ma comunque (ben) lontano dalla maggioranza dei due terzi dei deputati nazionali.
La sensazione (o, meglio, il timore) è che si sia attualmente in presenza non tanto (e non solo) della progettata transizione costituzionale dal parlamentarismo, e più precisamente dalla forma di governo semipresidenziale introdotta con la revisione costituzionale del 2007, al presidenzialismo, quanto piuttosto (e soprattutto) di una mutazione della forma di Stato, da quella dello Stato costituzionale di diritto ad una forma di Stato (neo-)autoritario, quest’ultima nella versione caratterizzata da una accentuata personalizzazione della formula politica istituzionalizzata, con Erdoğan (che potrebbe diventare) simultaneamente Capo dello Stato, capo del Governo e capo del partito di maggioranza (id est, “one-man rule system”).