di Angela Di Gregorio*

Putin’s constitutional reform and the consolidation of authoritarianism: a need for stability in a time of heavy world transformation

Il progetto di riforma della Costituzione russa presentato alla Duma di Stato il 20 gennaio 2019 («progetto di legge della FdR di emendamento alla Costituzione della FdR» n. 885294-7) ha completato velocemente il suo iter procedurale, e sarà sottoposto a consultazione popolare “panrussa” il 22 aprile 2020. Secondo gli annunci dei media, tale “riforma” avrebbe dovuto risolvere il problema della transizione del potere del 2024, ossia della cessazione delle funzioni di Presidente di Putin (avendo egli sempre rifiutato di accogliere richieste di eliminazione del limite dei mandati) e della sua permanenza in altre vesti ai vertici del potere. Il colpo di scena finale, in sede di approvazione del progetto in seconda lettura alla Duma il 10 marzo, col passaggio di un emendamento presentato dall’ex astronauta Valentina Tereškova teso ad azzerare dopo l’entrata in vigore della riforma i mandati ricoperti dal Presidente in carica, ha posto fine alle speculazioni. Putin ha graziosamente accettato la possibilità di ricandidarsi per eventuali altri due mandati, a condizione che la Corte costituzionale, coinvolta in un procedimento-farsa di salvaguardia della formale legittimità costituzionale, desse il suo assenso (cosa che ha già fatto: il parere che conferma la costituzionalità del contenuto della legge di emendamento e del procedimento per l’approvazione è stato emesso lunedì 16 marzo, due giorni dopo l’istanza di Putin, presentata sabato 14). Se dal punto di vista formale l’intero procedimento di riforma appare come minimo una rottura della Costituzione vigente, dal punto di vista sostanziale vi è la costituzionalizzazione della prassi autoritaria progressivamente instauratasi nel ventennio putiniano.

Il testo costituzionale “riformato” interviene su punti cruciali, relativi a competenze e rapporti reciproci dei principali organi costituzionali (con un rafforzamento ulteriore del ruolo del capo dello Stato), al sistema in senso lato dei contropoteri (giudici, procuratori, poteri regionali e locali), ad elementi identitari (lingua, cultura, religione, ruolo storico del paese erede dell’URSS, famiglia, infanzia), sovranitari (rapporto con organizzazioni e diritto internazionale, requisiti per chi detiene cariche pubbliche, divieto di alienazione di parti del territorio) e sociali (salario minimo, indicizzazione pensioni, volontariato, etc.). L’intero processo di riforma si è svolto in una atmosfera surreale con i vari comprimari (parlamentari, esperti, poteri locali, cittadini e associazioni), ossequiosi e osannanti nei confronti del capo che benevolmente accettava le proposte di modifica in direzione ancor più accentratrice.

Tale legge di emendamento non interviene certamente all’improvviso essendo state preconizzate varie ipotesi di riforma costituzionale nei mesi precedenti. Anzi, fin dall’elezione presidenziale del 2018 vi sono state speculazioni sulla successione di Putin al termine del suo quarto mandato non consecutivo (cosiddetto “dilemma 2024”). Da questo punto di vista diversi scenari erano stati ipotizzati, tra i quali due risultavano i più accreditati: l’eliminazione del limite dei mandati presidenziali (come accaduto nelle Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale ma anche in Bielorussia) oppure una traslazione dei poteri verso il primo ministro e il Governo (in modo da consentire a Putin di transitare in tale carica), come auspicato dallo speaker della Duma di Stato Volodin in un’intervista rilasciata alla Parlamentskaja Gazeta il 17 luglio 2019. Ma questo secondo scenario si era già verificato a Costituzione invariata nel periodo 2004-2008 (cosiddetta “tandemocrazia” tra Putin e Medvedev).   

Riservando ad altra sede l’analisi del contenuto generale del progetto, qui verrà fatta qualche limitata osservazione sulla sua ratio, sulle modalità di adozione, e sul contesto in cui si posiziona, considerando le peculiari logiche costituzionali della Russia.

In primo luogo, si nota l’estrema riservatezza mantenuta fino all’ultimo sul contenuto della riforma. Pur essendo evidente che questa era stata preparata da tempo, si era prestata attenzione a non far trapelare alcun dettaglio fino all’ultimo. Infatti sia nella conferenza stampa di fine anno del 19 dicembre 2019, sia nell’incontro con i leader dei gruppi parlamentari del 24 dicembre 2019, Putin si era tenuto fermamente nel vago, come del resto negli ultimi due anni, pur non escludendo modifiche alla parte organizzativa della Costituzione.

In secondo luogo, si nota la celerità del percorso. L’annuncio della riforma è contenuto nel messaggio annuale del Presidente alle camere del 15 gennaio 2020. Nello stesso giorno il Presidente con propria ordinanza ha nominato un gruppo di 75 esperti[1] che in poche riunioni ha prodotto un progetto presentato alla Duma il 20 gennaio ed approvato in prima lettura il 23 (all’unanimità). La seconda lettura, inizialmente annunciata per l’11 febbraio, è stata poi spostata al 10 marzo per consentire di processare i numerosi emendamenti intervenuti nel frattempo. Prima della seconda lettura, il 4 marzo, il Presidente ha sottoposto alla Duma un compatto pacchetto di “emendamenti alla legge di emendamento”. Tuttavia il testo votato in seconda lettura è risultato ancora più corposo dal momento che su iniziativa parlamentare ci sono state ulteriori aggiunte, in particolare sulla disciplina della formazione del Governo e sui rapporti Governo-Duma-Presidente. Sempre in occasione della seconda lettura è stato inserito l’emendamento proposto dalla Tereškova su citato. La terza lettura si è svolta l’11 marzo (sia nella seconda che nella terza lettura i comunisti si sono astenuti) e l’approvazione da parte del Consiglio della Federazione è avvenuta lo stesso giorno. Tra il 12 e il 13 marzo tutte le assemblee legislative dei soggetti federati hanno approvato la legge di emendamento (i risultati sono stati proclamati con decreto della camera alta il 14 marzo). Tale procedura ha riguardato tuttavia una sola parte della legge di emendamento, ossia l’art. 3, che dopo la firma del Presidente è entrata in vigore. Dopo l’intervento della Corte costituzionale menzionato sopra non resta che attendere la scontata approvazione popolare il 22 aprile.

Un terzo aspetto da segnalare è l’irritualità dell’intero procedimento di emendamento costituzionale, che pur mantenendo una forte impronta “presidenziale” ha visto l’intervento non regolamentato di diversi attori (e della “società civile” in senso lato) che hanno proposto modifiche al progetto originario in parte accolte dagli emendamenti ufficiali di Putin. Le modalità di entrata in vigore della legge di emendamento, in cui si è fatto ricorso ad uno spezzettamento dei suoi tre articoli (il primo contenente il testo degli articoli riformati, il secondo che introduce e disciplina con estremo dettaglio la consultazione popolare e il terzo riguardante le complesse modalità di approvazione dei tre articoli, distinguendoli in procedure differenziate), rappresentano una astrusa costruzione giuridica con il coinvolgimento oltre che dell’elettorato anche della Corte costituzionale in un contorto procedimento di verifica della conformità del contenuto della riforma (incluso l’emendamento sulla candidabilità del Presidente in carica), ai capitoli 1, 2 e 9 cost. (cosiddetta “super Costituzione”).

Come si evince dalla lettura della documentazione disponibile sui siti ufficiali (in particolare quello della Duma[2]) la configurazione iniziale del progetto ha subito una trasformazione di un certo rilievo nel passaggio dalla prima alla seconda lettura con l’inserimento di elementi fortemente identitari e “sovranisti” nonché dell’ulteriore accentuazione dei profili sociali (probabilmente per sollecitare il consenso popolare mettendo in ombra le ben più gravi trasformazioni degli assetti istituzionali). Dai dibattiti che si sono svolti in varie sedi “ufficiali” (in particolare presso le camere e il gruppo di esperti) emerge che la riforma è considerata come una concretizzazione del contenuto “proclamatorio” del testo del 1993, necessario per superare la fase emergenziale in cui questo era stato concepito e per rendere più aderenti alla realtà ed alle necessità del paese i riferimenti al carattere sociale dello Stato. Lo spirito generale della riforma sembra dunque essere quello del perfezionamento di alcuni aspetti, senza stravolgere l’impianto originario. In effetti questo non viene stravolto sicuramente per quanto riguarda le modalità di gestione del potere esecutivo (con una ridistribuzione solo apparente delle competenze del Presidente e delle due camere del parlamento) e di quello federale in rapporto alle periferie (accentuandosi ulteriormente il centralismo già introdotto in via legislativa e di prassi). Del tutto azzerati i contropoteri, con ulteriori penalizzazioni dell’autonomia di giudici e procuratori mentre gli aspetti sociali ed identitari potenziati in vista della seconda lettura vanno incontro ad un sentimento sociale alimentato dalla retorica ufficiale con una forte impronta anti-occidentale e conservatrice sul versante dei valori (Dio, famiglia, terra). Si rientra dunque pienamente nel solco della tradizione russa poichè il testo del 1993, che era ambiguo e contraddittorio per certi profili (catalogo dei diritti in linea con standard occidentali e proclamata superiorità del diritto internazionale sui diritti umani), era stato sconfessato dalla prassi attuativa eliminandosi i pochi elementi liberali e specialmente una seppur limitata divisione dei poteri in senso orizzontale e verticale. Se le dichiarazioni ufficiali presentano la riforma come una dislocazione del potere verso parlamento e partiti (ormai la società politica è matura, viene detto, prima non lo era) in realtà si tratta di un rafforzamento delle tendenze centraliste ed autoritarie che hanno contrassegnato il ventennio putiniano.

 Per quanto riguarda l’iniziativa della proposta di emendamento, va segnalato che anche questa volta, come nelle precedenti limitate occasioni di emendamento del 2008 e 2014, la riforma è stata calata dall’alto e la consultazione popolare finale può ben essere considerata un appello di natura plebiscitaria che fuoriesce dalla procedura costituzionale di emendamento di cui all’art. 136 cost. Infatti per lo svolgimento di tale consultazione (definita “votazione panrussa”) si procede con una disposizione ad hoc contenuta nella stessa legge di emendamento e ulteriormente precisata dalle proposte emendative del 4 marzo e da successivi atti “di contorno” (inclusa una modifica al codice penale che considera reato l’ostacolare in qualche modo la consultazione). L’appello al popolo è stato giustificato da Putin col fatto che, pur non toccando la riforma aspetti di principio, avrebbe riguardato il funzionamento dei tre poteri dello Stato (così Putin ha detto nel messaggio alle camere del 15 gennaio). Nei giorni successivi il Presidente ha aggiunto che da un lato la procedura di revisione costituzionale di cui all’art. 136 sarebbe troppo semplice e dall’altro che egli non avrebbe promulgato una legge di emendamento non valutata positivamente dal responso popolare.

L’intera procedura di emendamento ha seguito dunque un iter che solo parzialmente rispetta quanto previsto dalla Costituzione, dalla legislazione attuativa e dalla giurisprudenza (legge del 4 marzo 1998, sentenze della Corte costituzionale del 31 ottobre e del 28 novembre 1995), nonché dai regolamenti parlamentari. Il percorso è stato si veloce, come detto, ma estremamente complesso (nonché opaco) col coinvolgimento di una serie di attori il cui intervento non è procedimentalizzato. Ci riferiamo non tanto al parere della “camera pubblica”, organo rappresentativo di vari soggetti “sociali” (previsto dalla legge e dal regolamento del Consiglio della Federazione) quanto alla nomina del gruppo dei 75 “esperti”, ai rapporti tra tale gruppo e il comitato della Duma per la legislazione (nel gruppo sono stati inclusi a fini di coordinamento i due presidenti dei comitati per la legislazione delle due camere nonché diversi parlamentari nonchè i capogruppi dei 4 partiti della Duma), ai rapporti con una serie di altri attori non statali (cittadini, associazioni di categoria, istituzioni regionali o locali) i cui input sono stati evocati negli incontri e nei resoconti ufficiali senza spiegare in che modo siano stati sentiti o consultati. Non ben chiarite le modalità per la presentazione degli emendamenti e come questi siano stati tenuti in conto. Alla fine è stato lo stesso Presidente a porre fine al balletto degli emendamenti (circa 1000) selezionando quelli che ha ritenuto accettabili e proponendo un testo rivisto per la seconda lettura, replicato senza modifiche nella terza.

Per quanto riguarda il contenuto del progetto, si tratta di un testo complesso, che in parte porta a livello costituzionale quanto già introdotto dalla legislazione, dalla giurisprudenza o dalla prassi. Ma l’aspetto macroscopico è rappresentato dalla norma transitoria ai sensi della quale «la regolamentazione stabilita dai commi 3 e 3dell’art. 81 cost., nella versione della presente legge di emendamento alla Costituzione, relativa al numero ammissibile di mandati che la stessa persona  può rivestire nella carica di Presidente della FdR non impedisce alla persona che occupa e/o ha occupato la carica di Presidente della FdR al momento dell’entrata in vigore di tale emendamento di partecipare come candidato alle elezioni di Presidente della FdR dopo l’inserimento della presente versione nel testo della Costituzione per il numero di mandati consentito dall’emendamento indipendentemente dal numero di mandati che tale persona ha rivestito e/o riveste al momento dell’entrata in vigore di tale emendamento».

Con tale norma transitoria si consente a Putin, qualora lo desideri, di candidarsi per un quinto o sesto mandato presidenziale. Si tratta di una soluzione che probabilmente non era stata presa in considerazione al momento della presentazione del progetto di riforma, che sembrava ambiguo sul futuro ruolo costituzionale di Putin, ma che pare essere maturata in una fase successiva, quando la riflessione sulle alternative sia per Putin che per la carica presidenziale (mancanza di un successore degno) non ha lasciato spiragli per una soluzione diversa. Sbaglieremmo tuttavia a pensare che si tratti solo di personale brama di potere o di paura di ritorsioni. È cresciuta negli ultimi tempi in Russia, di fronte al disordine mondiale (non da ultimo lo spettro della pestilenza da coronavirus, finora arginata dalle autorità russe), la paura dell’instabilità e del vuoto di potere. Memori delle vicende del passato (si pensi ai torbidi seguiti alla fine dell’URSS ma anche al burrascoso periodo elitsiniano) i russi – intesi sia come cittadini che come gruppi di potere – non possono consentirsi di perdere un bastione di stabilità e solidità come il potere putiniano che non è trasmissibile ad altri perché, finora, non c’è “altri” all’orizzonte.

È una soluzione autoritaria, inaccettabile agli occhi degli osservatori occidentali ma l’unica in grado di rassicurare i russi, spaventati dai disordini della globalizzazione e dal degrado delle democrazie occidentali molto più che dalla propria crisi sociale, economica e culturale.

 

[1] Ordinanza del Presidente della FdR del 15 gennaio «Sul gruppo di lavoro per la preparazione di proposte di inserimento di emendamenti nella Costituzione della FdR» (www.kremlin.ru/acts/news/62589). Il gruppo, composto da pochi veri esperti (i giuristi in totale 9), ma prevalentemente da personaggi pubblici a diverso titolo (qualche sportivo ed intellettuale, rappresentanti della società civile e diversi politici, parlamentari federali o regionali), ha prodotto il testo in 4 giorni e 4 riunioni.

[2] La documentazione relativa e l’iter del progetto al seguente link: https://sozd.duma.gov.ru/bill/885214-7

 

*pubblicato su Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società

http://nad.unimi.it/putins-constitutional-reform-and-the-consolidation-of-authoritarianism-a-need-for-stability-in-a-time-of-heavy-world-transformation/