di Stefano Ceccanti

Premessa

Scrivo di getto questo commento per iniziare una discussione in modo anche un po' temerario: le Presidenziali sono solo la prima delle due tappe decisive del quinquennato, l’unica col finale appena scritto, in attesa delle legislative di giugno. Tuttavia il compito di questo Forum è anche e soprattutto quello di ragionare in progress, quando alcuni scenari sono ancora aperti per chiarirci reciprocamente le idee, magari affinandole e correggendole sulla base della discussione.

1 - La grande mobilità elettorale

Già i risultati del primo turno con entrambi i candidati ammessi al ballottaggio non provenienti dai due partiti tradizionali (gollista e socialista) aveva dimostrato che anche in Francia i vari elementi di crisi presenti in questi anni (economici, migratori, funzionamento dell’Ue) hanno reso molto meno prevedibile il voto degli elettori. Un risultato analogo si era avuto per le presidenziali austriache e risultati molto discontinui col passato si erano rivelati anche nelle due elezioni ripetute in Spagna oltre che nelle elezioni parlamentari italiane del 2013, solo per fare alcuni dei casi più noti,

Non è stata una novità così radicale neanche per quello che riguarda la Francia: se si esamina in particolare il tipo di elezione con meno vincoli di sistema, cioè le europee, dove vige la proporzionale con bassa soglia di esclusione, la somma dei due primi partiti (in quel caso Fn e gollisti) era già allora, come oggi nel primo turno, intorno al 45% dei voti validi e le forze che hanno superato il 5% sono state già allora sei.

Il sistema dei partiti che abbiamo conosciuto da metà anni ’80, centrato su gollisti e socialisti col Fn quale terzo incomodo dai risultati altalenanti, sembra essere entrato in crisi irreversibile, specie se si nota il risultato a una cifra del candidato socialista che riporta quel partito a prima della sua fondazione nel 1971.

2 - Che ruolo può giocare l’assetto costituzionale rispetto a mutamenti del genere?

Queste considerazioni sulle evoluzioni dell’elettorato coinvolgono o no anche il sistema costituzionale?

Detto in altri termini: per valutare il rendimento del sistema costituzionale dobbiamo capire se esso rende o meno in grado di governare questi processi.

La domanda ha anche una valenza comparatistica: se i fenomeni sembrano simili rispetto alla maggiore incertezza degli elettorati, quali sistemi reagiscono meglio e quali peggio? Per restare solo alle democrazie medio-grandi la Spagna ha indubbiamente subito tensioni con quattro partiti nazionali forti invece di due, tensioni che hanno prodotto due elezioni consecutive, tuttavia il rapporto fiduciario limitato a una sola Camera e le previsioni costituzionali che consentono Governi di minoranza (con l’astensione nell’investitura del Presidente del Governo) ha poi ridotto i danni e ci fa pensare a un Governo di legislatura, sia pure con più difficoltà per l’approvazione delle leggi. Viceversa la maggiore frammentazione in Italia dopo la bocciatura del referendum costituzionale che ha mantenuto il doppio rapporto fiduciario e con le leggi elettorali al momento vigenti espone il nostro sistema, che già nella presente legislatura ha visto succedersi ben tre esecutivi, a situazioni ben più problematiche.

Nessun sistema può produrre risultati mediamente efficienti se sono contemporaneamente deboli il sistema dei partiti e l’assetto costituzionale.   

Per questo possiamo porci la domanda di taglio comparatistico in modo ancor più diretto: il fatto che la Francia attraversi queste difficoltà rispetto al suo sistema dei partiti lo rende più o meno attraente come modello di riferimento per i Paesi che come il nostro hanno entrambe le variabili molto deboli?

3 - I due perni del sistema costituzionale francese

Per rispondere a questa domanda dobbiamo allora fare un passo indietro sulla Francia.

I perni del sistema costituzionale sono stati tradizionalmente due: il primo, inserito nella Carta nel 1962 e messo in pratica dal 1965, è l’elezione popolare diretta del Presidente. Il secondo, praticato dal 1962 e che ha subito un’eccezione proporzionalistica nel 1986, è il doppio turno uninominale maggioritario di collegio: formalmente non inserito in Costituzione, ma costituzionale nel senso di elemento strutturante del sistema, in cui a soglia di esclusione è ormai fissata da vari decenni al 12,5% degli aventi diritto al voto.

Secondo due autori chiave questi due pilastri portano a quella che potremmo definire una costruzione presidenziale dei partiti.

Maurice Duverger lo aveva spiegato bene già nel 1961, un anno prima del referendum per introdurre l’elezione diretta del Presidente in un celebre dibattito su L’Express con François Mitterrand che poi imparò molto bene la lezione) e che è riprodotto nei noti Mélanges Duverger curati da Colas e Emeri nel 1987:

 “Sono persuaso (...) che una delle prime conseguenze di un sistema presidenziale in Francia sarebbe di rivalutare i partiti. Per poter affrontare un’elezione nazionale, infatti, occorre avere dietro di sé un’enorme organizzazione a scala nazionale, cioè un partito. Si assisterebbe quindi alla scomparsa dei piccoli partiti e ad un rafforzamento delle grandi formazioni, che dovrebbero disciplinarsi e dotarsi di un leader.” (p. 170)

In modo ancor più puntuale, nel 1986 nel suo “Essais sur les partis” lo aveva confermato, sulla base dell’esperienza, Pierre Avril, scrivendo:

“Quando l’elezione è considerata anzitutto come una decisione, cioè quando la priorità è attribuita alla scelta dei governanti e all’organizzazione della loro responsabilità di fronte agli elettori, la struttura del sistema dei partiti (quali che siano i suoi componenti interni) sarà molto probabilmente guidata dal sistema che gli impone i suoi vincoli”.

Dopo la doppia riforma del 2000 (quinquennato presidenziale e elezioni legislative poste un mese dopo delle presidenziali, ossia nel periodo di “luna del miele” del neo-eletto) questa impostazione di Duverger e Avril si è ancora più rafforzata.

4 - L’incognita dell’impatto della nuova frammentazione sulle elezioni legislative

Questi due pilastri possono reggere l’impatto della frammentazione nelle legislative? Infatti questa volta il Presidente Macron ha un movimento appena fondato, “En Marche”: sarà in grado di ottenere una maggioranza in assemblea, senza la quale il rendimento del sistema ovviamente peggiorerebbe?

Questa è al momento è obiettivamente un’incognita, tuttavia i critici del sistema francese che profetizzano difficoltà di funzionamento dovrebbero comunque ammettere che in assenza dei due pilastri indicati renderebbe comunque molto problematica la performance del sistema. Con quei pilastri l’esito non è automaticamente garantito, ma senza di essi il sistema finirebbe nella palude.

 L’esercizio dei principali poteri presidenziali dipende infatti in modo decisivo dall’esistenza di una maggioranza presidenziale, come ha magistralmente e dettagliatamente dimostrato Duverger nelle varie edizioni del suo “Le système politique français” a cui rinvio per completezza.

Qui si possono fare 4 ipotesi:

1-quella di una coabitazione inedita, in quanto inizierebbe stavolta all’inizio del mandato del Presidente. Essa, concretamente, supporrebbe però che vi fosse uno schieramento contrario al Presidente particolarmente forte. Non sembra però esserlo il Fn a cui il sistema maggioritario a doppio turno è sfavorevole anche quando si passa ai collegi; non lo è la sinistra frammentata; non sembra esserlo nemmeno il partito dei Républicains che, per quanto ben strutturato, sembra al momento acefalo;

2-quella di un’Assemblea frammentata più o meno in quattro, come nel primo turno, ma in quel caso gli eletti di En Marche sarebbero comunque baricentrici rispetto a quelli dei Républicains e della sinistra;

3-quella di una maggioranza assoluta di en Marche all’Assemblea. A molti sembra una prospettiva irrealistica, tuttavia dobbiamo tenere presente che già nei prossimi giorni, prima del voto, sia esponenti socialisti vicini a Valls sia repubblicani vicini a Juppé potrebbero aggregarsi alla nuova possibile maggioranza presidenziale. Per di più il divieto del cumulo dei mandati che scatta in queste elezioni rende più facile il voto di traino delle Presidenziali: nelle occasioni precedenti vari sindaci grazie al loro radicamento locale riuscivano a vincere nei collegi anche quando il loro candidato Presidente aveva perso, ma questa risoerva viene ora meno;

4-quella di una maggioranza relativa in Assemblea: ci scordiamo spesso che questo è già avvenuto sia nel quadriennio 1958-1962 sia nel quinquennio 1988-1993 e che la governabilità stata comunque assicurata dalla maggioranza presidenziale. E’ vero che rispetto a quei periodi la riforma del 2008 ha temperato la principale risorsa del Governo in Parlamento, l’articolo 49.3 della Costituzione: la possibilità di porre la fiducia su un teso e divederlo approvato senza voto dell’assemblea, a meno che i gruppi di opposizione non riescano ad ottenere la maggioranza assoluta su una mozione di sfiducia, è stata ridotta a un solo testo per sessione, oltre alla Finanziaria e alla legge sulla sicurezza sociale. Una situazione quindi con qualche problema, ma comunque gestibile.

Più di questo al momento non saprei dire, ma senz’altro i contributi ulteriori ci aiuteranno a riflettere ancora meglio.