di Andrea De Petris (Ricercatore di Diritto Costituzionale, Università Giustino Fortunato, Benevento) - 15 febbraio 2018

Le elezioni per il rinnovo del Bundestag dello scorso 24 settembre 2017 hanno prodotto una situazione per molti aspetti inedita per le cronache politiche della Repubblica Federale Tedesca (RFT): CDU e CSU, partiti di riferimento della Cancelliera uscente Angela Merkel, hanno oltre 8 punti percentuali rispetto al 2013, mentre la SPD è riuscita a raccogliere appena un quinto dei voti validi, minimo storico per il partito. Hanno confermato il dato del 2013 i GRÜNEN, partito ambientalista, e la LINKE, movimento di sinistra radicale, a fronte di un rilevante incremento di voti da parte del partito liberale (FDP), che è cresciuto di quasi il 6% rispetto al 2013 e torna con ben 80 Deputati in Parlamento, dopo aver sfiorato la soglia di sbarramento del 5% alle precedenti elezioni. Ha destato scalpore soprattutto il risultato del movimento populista antieuropeista e xenofobo Alternative für Deutschland (AfD), che si afferma come terza forza politica di Germania, attestandosi al 12,6% dei suffragi.

La presenza della AfD in Parlamento ha posto fortemente il problema della governabilità anche a Berlino, dal momento che le posizioni estreme del partito rendono di fatto inutilizzabili per possibili alleanze di Governo ben 95 dei 709 seggi disponibili. L’iniziale scelta della SPD di non partecipare a trattative per la formazione di un Esecutivo, inoltre, ha complicato ulteriormente la situazione politica. La cd. Kanzlermehrheit, la maggioranza assoluta dei voti disponibili al Bundestag che un candidato Cancelliere deve ottenere per essere eletto al primo scrutinio, è apparsa pertanto molto più lontana da raggiungere che in passato. Le forze politiche potenzialmente disponibili ad alleanze di governo si riducevano pertanto a quattro: CDU/CSU, FDP, GRÜNEN e LINKE, sebbene in realtà solo le prime tre mostrassero vicinanze sufficienti a comporre l’unica possibile intesa praticabile sulla carta, la cd. Jamaika Koalition, dal colore delle tre forze politiche interessate. I colloqui tra i rappresentanti dei partiti in questione, avviati il 18 ottobre 2017, sono tuttavia ufficialmente falliti il 20 novembre successivo, quando il leader della FDP Christian Lindner ha lamentato la mancanza di una base comune di intenti sulla quale costruire un accordo di governo condiviso.

L’insuccesso della Coalizione Giamaica ha riaperto il confronto politico, alla ricerca di possibili alternative praticabili: Governo di minoranza, “tollerato” da forze politiche ufficialmente fuori dalla maggioranza ma capaci di neutralizzare i voti dei Parlamentari contrari; Merkel candidata alla Cancelleria dal Capo dello Stato, presa d’atto dell’assenza di una Kanzlermehrheit per candidati alternativi, scioglimento anticipato del Bundestag e ritorno al voto entro pochi mesi; riapertura delle consultazioni, con il coinvolgimento anche di forze politiche fino a quel momento indisponibili a valutare una loro partecipazione ad alleanze di Governo. Mentre media e opinione pubblica si interrogavano su fattibilità e conseguenze di ciascuna di queste ipotesi, il Presidente Federale Frank-Walter Steinmaier veniva – quasi suo malgrado – chiamato in causa non più come “notaio” delle decisioni assunte dalle forze politiche, come accade di regola al Capo dello Stato tedesco in questi casi, ma come attivo “manager” della crisi politica in corso, con lo scopo di risolvere lo stallo istituzionale nel modo più vantaggioso per il Paese. Dalla fine di novembre 2017, Steinmeier ha inaugurato questa fase inedita per la RFT convocando i leader dei partiti politici rappresentati al Bundestag per dei colloqui che ricordano molto da vicino le consultazioni che il Presidente della Repubblica italiano conduce abitualmente nel processo di formazione un nuovo Esecutivo.

L’inedito ricorso a tali colloqui politco-istituzionali conferma la straordinarietà del momento, ma anche la consapevolezza da parte del Capo dello Stato che il passo decisivo, ovvero la propria proposta al Bundestag di un candidato alla Cancelleria, una volta compiuto metterebbe in moto un processo istituzionale non più reversibile. A partire dal momento in cui il candidato presidenziale viene sottoposto al voto dei Deputati federali, infatti, l’iter segue le fasi e le tempistiche indicate dal dettato costituzionale, senza possibilità di interventi correttivi da parte del Bundespräsident. Nella sua evoluzione da garante ad arbitro della procedura di designazione del possibile futuro Cancelliere, dunque, il Presidente Federale esercita quel potere di intervento che l’assetto costituzionale ha sempre implicitamente previsto: la circostanza che non se ne fosse fatto uso fino ad ora non significa che certe competenze non fossero comunque presenti, e che il Capo dello Stato non possa legittimamente assurgere al ruolo di “Investitore del Cancelliere” (Kanzlermacher).

Il risultato pressoché immediato dell’iniziativa di Steinmeier è stato quello di riposrtare la SPD al tavolo delle trattative, annunciata al termine di una lunga riunione nel corso della quale sono peraltro emerse divergenze rilevanti all’interno del partito. La sera del 30 novembre 2017 si è tenuto un incontro a quattro tra il Presidente Federale, Angela Merkel, Martin Schulz ed il Presidente della CSU Horst Seehofer presso il Castello Bellevue, residenza del Capo dello Stato, per verificare la disponibilità dei partiti convocati ad avviare negoziati per costituire una nuova alleanza di Governo. A questo incontro preliminare sono seguite varie sedute, dal 7 al 12 gennaio 2018, su una serie di 15 tematiche (tra le quali politiche finanziarie e fiscali, economia, politiche energetiche, provvedimenti a sostegno delle famiglie, gestione dei flussi migratori e politiche di integrazione dei migranti) i cui esiti sono confluiti in un “pre-accordo” di 28 pagine, che la sola SPD ha rimesso alla valutazione di un’assemblea straordinaria dei delegati del partito. L’atto, riepilogativo dell’intesa preliminare raggiunta tra l’Unione e i socialdemocratici, raccoglieva i temi principali sui quali i partiti interessati si sono accordati come base per l’eventuale trattativa che, se avviata, avrebbe dovuto portare alla definizione di un vero e proprio Koalitionsvertrag, contenente i dettagli del piano sul quale le due fazioni politiche avrebbero incentrato la loro linea programmatica.

Il 21 gennaio 2018, 642 rappresentanti degli iscritti socialdemocratici si sono quindi riuniti a Bonn, per votare sull’esito delle “pre-consultazioni” della settimana precedente. Il voto era stato preceduto da una vera e propria campagna promozionale dei vertici della SPD, intesa a convincere i componenti delle diverse delegazioni regionali ad approvare il pre-accordo con l’Unione, evidenziandone le presunte congruità con i tradizionali obiettivi del partito, e ammonendo sui rischi un’interruzione delle trattative che avrebbe potuto comportare per le sorti della SPD in caso di ritorno alle urne. Ciononostante, diverse delegazioni regionali si erano espresse negativamente sul ritorno dei socialdemocratici al Governo: soprattutto i giovani del partito (gli Jungsozialisten - JuSos) avevano fortemente criticato la strategia di Schulz, osservando che alleandosi con la Merkel rischierebbe di incrementare il costante calo di consensi registrato dalla SPD negli ultimi anni. Il voto dei delegati è infine risultato molto incerto, con 362 voti favorevoli e 279 contrari alla mozione dell’attuale gruppo dirigente del partito, pari al 54% dei delegati presenti: un dato che ha evidenziato una sostanziale spaccatura della SPD, e che ha lasciato aperti molti interrogativi sulla futura leadership interna alla socialdemocrazia tedesca.

Ad ogni modo, l’esito della consultazione ha permesso alla SPD di proseguire le trattative con la CDU/CSU, conclusesi il 7 febbraio 2018 dopo un confronto ininterrotto di oltre 30 ore, con la presentazione a media ed opinione pubblica di un formale Accordo di Coalizione di 177 pagine, che esplicita nel dettaglio il pre-accordo di gennaio e contiene tutte le linee di indirizzo politico che il nuovo Governo ha intenzione di realizzare se riuscirà a formarsi. In particolare, l’accordo prevede nuove discipline in varie materie: politiche sanitarie (senza tuttavia eliminare la distinzione tra pazienti con assicurazione pubblica e privata, pure auspicata dalla SPD); politiche del lavoro (dove l’iniziale obiettivo della SPD di eliminare del tutto i contratti a tempo determinato viene sostituito da una riforma parziale: i contratti a tempo determinato passano da una durata massima di 18 a 24 mesi rinnovabili una sola volta, contro le tre del regime attuale; i datori di lavoro con più di 75 dipendenti potranno impiegare al massimo il 2,5% dei propri occupati con contratti a tempo determinato, quelli con almeno 500 dipendenti potranno averne non più del 12,5%: superato questo limite, ogni ulteriore contratto di lavoro sarà automaticamente a tempo indeterminato); difesa (dove l’intento di Martin Schulz di ridurre la spesa pubblica nel settore è stato “mitigato” da un compromesso: ogni aumento di spesa in armamenti dovrà in futuro essere accompagnato da un pari aumento in aiuti allo sviluppo); politiche europee (in cui si auspica un “nuovo inizio” per un’Europa della democrazia e della solidarietà, della libera concorrenza e degli investimenti, delle opportunità e dell’eguaglianza, della pace e della responsabilità globale); economia, digitalizzazione, burocrazia, comunicazioni (che punta in primo luogo a ridurre il divario infrastrutturale interno al Paese e ad incrementare il sostegno alla crescita dell’occupazione); politiche per la famiglia (basate sul sostegno alla famiglia, ai diritti dei minori e alla parità di trattamento di padri e madri nell’ambito dei rispettivi obblighi genitoriali, e sulla lotta contro la violenza verso donne e minori); istruzione e ricerca (temi molto discussi negli ultimi mesi, rispetto ai quali si prospetta un possibile intervento uniformatore da parte della Federazione, che ridimensionerebbe il ruolo dei Länder, fino ad ora titolari esclusivi delle competenze di settore); politiche finanziarie e fiscali (incentrate sulla progressiva riduzione del contributo di solidarietà per redditi medio-bassi, a fronte di una generale riduzione della pressione fiscale interna, e sull’aumento complessivo degli investimenti in innovazione e sviluppo, famiglie, edilizia sociale, infrastrutture e comunicazioni locali); politiche interne e di protezione dei consumatori (con un incremento delle assunzioni nelle forze di pubblica sicurezza, il miglioramento delle politiche di prevenzione della criminalità, un sostegno alle azioni della società civile contro organizzazioni estremiste, razziste, xenofobe, omofobe, antisemite ed anti-islamiche, maggiore integrazione degli strumenti di democrazia diretta nelle dinamiche rappresentative dell’ordinamento tedesco); politiche migratorie (incentrate su un intervento esterno mirato a ridurre le cause dei flussi migratori, unito ad una razionalizzazione delle politiche di accoglienza dei migranti, da ammettere in ragione delle capacità occupazionali interne, all’introduzione di metodi più efficienti per la verifica del diritto all’asilo, e a politiche di integrazione più efficienti di quelle attuali, mentre è stata concordata la cifra di 1.000 migranti al mese ammessi in Germania per ricongiungimenti familiari, da aggiungersi ai 1.000 migranti mensili provenienti da Italia e Grecia a seguito degli accordi di ricollocazione);  politiche edilizie (basate su un sostegno pubblico alla costruzione di opere di edilizia privata urbana e rurale, atto a compensare i recenti aumenti per l’acquisto e l’affitto di abitazioni); politiche ambientali ed energia (che prevede una commissione di esperti e politici incaricata di individuare le misure per il raggiungimento degli obiettivi di protezione del clima fissati per gli anni 2020, 2030 e 2050, nonché sul graduale passaggio all’uso di energie rinnovabili, che dovranno rappresentare il 65% del totale della produzione energetica nazionale entro il 2030); politica estera (con una possibile prosecuzione dell’impegno di forze armate all’estero in zone di crisi, ove necessario, e di intervento a combattere le cause dei fenomeni migratori, prestando nel contempo la massima attenzione al rapporto con la Turchia, definito un partner importante per la Germania, ma il cui livello di democraticità e di rispetto dello Stato di diritto al momento non consentono di proseguire un dialogo per un suo possibile coinvolgimento nel processo di integrazione europeo); politiche culturali e informazione (imperniate su investimenti pubblici per iniziative culturali, qualità degli organi di informazione e conservazione della memoria per le tragedie della dittatura nazionalsocialista e dell’egemonia socialista nella ex DDR).

Per quanto riguarda la composizione del prossimo Gabinetto, la ripartizione dei dicasteri sembra premiare soprattutto i partner minori della coalizione: la Merkel conserva la Cancelleria, mentre la CDU ottiene la guida di Economia ed Energia, Difesa, Istruzione e Ricerca, Salute, Politiche Alimentari ed Agricoltura. La CSU riceve tre Ministeri: oltre a inviare agli Interni l’attuale Presidente del Governo regionale bavarese Horst Seehofer, riceve anche la dirigenza di Traffico e Digitalizzazione e di Cooperazione e Sviluppo Economico. La SPD guadagna ben sei Ministeri: oltre al ruolo di Vicecancelliere, che dovrebbe andare all’attuale Sindaco di Amburgo Olaf Scholz, i socialdemocratici occuperanno Esteri, Finanze, Giustizia e Tutela dei Consumatori, Lavoro e Welfare, Famiglia, Terza Età, Politiche Femminili e Giovanili, ed Ambiente.

La notizia dell’attribuzione del Ministero degli Esteri a Martin Schulz ha sollevato grandi proteste all’interno della SPD, anche perché avrebbe coinciso con la sostanziale uscita di scena dell’attuale titolare del Dicastero Sigmar Gabriel, grande sostenitore della candidatura dell’ex Presidente del Parlamento Europeo alla Cancelleria. Schulz, che aveva già lasciato la presidenza del partito ad Andrea Nahles, Presidente del gruppo parlamentare socialdemocratico al Bundestag, ha inaspettatamente annunciato di rinunciare anche a qualsiasi incarico nel prossimo Esecutivo, con l’intento di disinnescare polemiche che potrebbero favorire l’opposizione interna all’accordo di coalizione. E’ infatti previsto un referendum di tutti i 463.723 iscritti al partito, dal quale dipenderà l’ingresso della SPD nella coalizione con l’Unione. Sarò possibile esprimere il proprio voto per posta entro il 2 marzo 2018, mentre il risultato verrà reso noto la mattina del 4 marzo successivo. Solo allora si saprà se la quarta Große Koalition vedrà finalmente la luce, o se la Germania Federale dovrà affrontare la più complessa crisi politico-istituzionale