di Stefano Ceccanti – 11 luglio 2017

Confesso di non capire bene il senso complessivo delle obiezioni del caro amico Ciro Sbailò al progetto di legge sulla cittadinanza in corso di esame al Senato. In particolare mi sembra di cogliere due contraddizioni interne al suo ragionamento.

All’inizio sembra soffermarsi in modo puntuale su singoli dettagli della proposta sia sullo ius soli temperato sia sullo ius culturae. Tuttavia l’esame dei singoli punti e dei singoli argomenti sembra smentire la sua affermazione generale, che ritorna in più punti, per cui il ddl concepirebbe la cittadinanza italiana come un automatismo.

Proprio perché la la legge non configura un automatismo entra dentro una serie di casi e di condizioni che possono essere criticati in quanto opinabili (e giustamente nulla va mai dogmatizzato), ma a partire dalle ragioni di Sbailò sarebbe stato ben più opinabile l’automatismo. In particolare mi stupisce come contraddittoria la critica sullo ius culturae: l’esito positivo del corso di studi dimostra una piena integrazione nel sistema scolastico di cui si prende atto sul piano della cittadinanza; può essere criticata da chi vorrebbe l’automatismo, ma non da Sbailò che all’automatismo si oppone.

In ogni caso questo nostro dibattito si presenta a valle del lavoro parlamentare quando è evidente che le alternative sono solo due: o il testo si approva così com’è o si rinvia sine die. Di conseguenza, per non sviluppare delle riflessioni a prescindere, ferme restando le riflessioni puntuali che possono essere sempre utili, dobbiamo alla fine anche e soprattutto rispondere a una semplice domanda: il testo così com’è rappresenta comunque un punto di equilibrio? Ora qui le obiezioni maggiori potrebbero e dovrebbero venire da chi è a favore di un automatismo, non da chi a quell’automatismo è contrario. Insomma tutta la prima parte del testo di Sbailò può al massimo far rilevare qualche norma inopportuna o irragionevole, ma non far prendere la strada dell’affossamento della legge.

A questo punto, però, si inserisce quella che a me pare la seconda contraddizione interna di Sbailò. Dopo essere entrato in quella serie di critiche puntuali, in modo un po' brusco slitta invece a una sorta di pregiudiziale anti-islamica, tracciando un parallelismo tra cittadinanza e intesa con l’Islam. Siccome esistono problemi di compatibilità tra il nostro ordinamento e l’immigrazione islamica, così come l’Intesa non è un diritto non lo sarebbe neanche la cittadinanza. Ma allora le obiezioni puntuali della prima parte erano delle sovrastrutture? Stiamo teorizzando che una presenza rilevante sia meglio governabile senza Intesa e senza cittadinanza? Possiamo stabilire davvero un parallelismo tra un’Intesa, che richiede un patto tra realtà collettive, e che quindi può anche attendere i tempi di un negoziato finché non siano mature le condizioni politiche, e ragionare allo stesso modo sulla cittadinanza di singole persone?

Vorrei capovolgere l’argomento di Sbailò: quale visione politica (di politica del diritto) sostiene chi vuole rinviare sine die questa legge? Ci sarebbe più integrazione e più sicurezza non favorendo l’accesso alla cittadinanza a una quota significativa di popolazione giovanile stabilmente presente sul nostro territorio denunciando l’approccio opposto come ingenuo o buonista? Un conto è ragionare sul fatto che l’immigrazione non possa essere subita, a prescindere dalle capacità strutturalmente limitate di qualsiasi Paese, e un altro è rovesciare queste preoccupazioni in modo immediato sul tema della cittadinanza. Tra i contrari al disegno di legge vedo invece questo cortocircuito argomentativo: che possa far breccia in parte dell’opinione pubblica non c’è dubbio, ma non dovremmo aiutare, col ragionamento giuridico, a ben distinguere i temi e le soluzioni? Un conto sono le politiche per l’immigrazione e la gestione dei flussi e un altro conto le condizioni per la cittadinanza. Ci deve essere coerenza, ma non sono la stessa cosa. Le prime rispondono ad esigenze contingenti. Le seconde esprimono una visione pragmatica, quindi pienamente discrezionale: non c’é nessun diritto automatico al diritto di cittadinanza, ma c’è una logica di sistema, che collega integrazione sociale e cittadinanza.