Mauro Cappelletti

(Folgaria, Trento, 14 dicembre 1927 – Fiesole, Firenze, 1° novembre 2004)

Mauro Cappelletti,  l’ultimo fra gli allievi di Piero Calamandrei, è stato sicuramente una figura centrale nella cultura giuridica del XX secolo, uno dei pochissimi giuristi italiani contemporanei ad avere acquisito notorietà planetaria, e uno dei primi, e dei più autorevoli, ad aver diffuso nel mondo la conoscenza del sistema giuridico italiano. Sotto il primo profilo, ricordo che è l’unico giurista italiano cui è dedicata un’apposita voce nel Dictionnaire de la Justice, curato da Loïc Cadiet (2004); sotto il secondo profilo, è d’obbligo ricordare Civil Procedure in Italy (con J. M. Perillo, 1965), un vero e proprio moderno manuale di diritto processuale civile,  e  The Italian Legal System. An Introduction (con J. H. Merryman e J. M. Perillo, 1967), un’insuperata introduzione alla storia e allo spirito del nostro ordinamento.  

Mauro Cappelletti ha insegnato in Italia nelle Università di Macerata (1957-62) e di Firenze (dal 1963). Qui, ha fondato l’Istituto di Diritto Comparato. Nel 1976, è stato chiamato all’Istituto Universitario Europeo dove è rimasto fino al 1987.  Oltre ad essere stato Visiting Professor in molte facoltà giuridiche degli Stati Uniti (fra cui Berkeley, Michigan, e Harvard) e di altre parti del mondo, è stato professore titolare di International Legal Studies alla Stanford University School of Law. Ha ricevuto lauree honoris causa da molte università del mondo. E’ stato Presidente dell’Associazione Italiana di Diritto Comparato – contribuendo,  anche attraverso di essa, insieme a Gino Gorla e Rodolfo Sacco, a lanciare in Italia gli studi comparatistici -, nonché  dell’International Association of Legal Science e dell’International Association of Procedural Law. Socio dell’Accademia dei Lincei, è stato pure membro della British Academy, dell’Institut de France, e della Royal Academy del Belgio.

Mauro Cappelletti è stato uomo di scuola, che della ricerca e dell’insegnamento ha fatto la sua ragione di vita, denunciando spesso con forza la crisi e il bisogno di riforme radicali dell’educazione giuridica italiana, con pagine che ancora oggi  ci appaiono vive (v. L’educazione del giurista e la riforma dell’Università,  1974, ove si trova anche ristampato il volumetto del 1957, su Studio del diritto e tirocinio professionale in Italia e in Germania). Ha formato molte generazioni di giovani, che poi  si sono affermati nell’accademia, o nelle professioni.

E’ stato un lavoratore infaticabile e un autore assai prolifico, ed un organizzatore estremamente determinato, capace di attrarre intorno a monumentali progetti di ricerca giovani studiosi nei loro anni formativi, ma anche studiosi di grande prestigio da ogni parte del mondo. Ci ha lasciato una ventina di volumi, e centinaia di contributi minori, pubblicati in molte lingue.

Mauro Cappelletti è stato un uomo dalla personalità straordinaria, con una grande varietà di interessi. Alcuni aspetti del suo itinerario intellettuale sono talmente importanti che devono essere qui ricordati, poiché hanno contribuito a farne un giurista unico. “…[O]ne of the precious few” della nostra epoca, così lo definì Sir Jack Jacob, nella sua Premessa a uno degli ultimi e più stimolanti libri di Cappelletti, The Judicial Process in Comparative Perspective (Oxford UP, 1988); come “one of the precious few” lo ricordano anche Marta Cartabia e Sabino Cassese nei loro contributi al Convegno internazionale “Processo e Costituzione: l’eredità di Mauro Cappelletti”, svoltosi a Firenze ,  a dieci anni dalla sua morte (gli atti del convegno, raccolti da V. Barsotti e da me, sono ora pubblicati in Annuario di Diritto Comparato e di Studi Legislativi, 2016, p. 1ss.).

Mauro Cappelletti è stato processualcivilista, costituzionalista ma  , soprattutto, comparatista (e uno dei  “Padri fondatori” della moderna scienza del diritto comparato), tant’è che lui stesso, in un “esame di coscienza” che costituisce una sorta di testamento spirituale, preferisce definirsi  “processualcomparatista” anziché processualista (Dimensioni della giustizia nelle società contemporanee, 1994, p. 157).

Non è questo il luogo per una rassegna delle opere di Cappelletti. Piuttosto, attraverso i suoi scritti  più significativi, cercheremo di individuare gli aspetti essenziali del suo cammino intellettuale, che vede sempre comunque fusi   processo e valori costituzionali nell’ottica della comparazione.

Innanzi tutto, non sarà mai sottolineata abbastanza la capacità che Cappelletti ha sempre avuto di intuire, di anticipare, l’importanza e l’attualità di alcuni grandi temi che, fra l’altro testimoniano la sua sensibilità per i problemi e i bisogni della società, e il suo interesse e il suo impegno per i grandi valori e per la riforma: in una parola, la sua visione profetica. In quell’esame di coscienza che ho citato poco sopra, egli  stesso scrive della sua opera: “mi sarebbe difficile indicare anche una sola delle mie pubblicazioni giuridiche … la quale non sia stata ispirata da una critica della situazione – ossia dalla constatazione di un problema da risolvere – e da un progetto di soluzione e quindi di riforma” (p. 158).   E’ questa dote che lo portò, nel 1955, a scrivere un volumetto sul bisogno di una tutela speciale, “costituzionale”, per i diritti e le libertà fondamentali sanciti nella nuova Costituzione repubblicana, sulla base dell’esperienza di altri ordinamenti, quali Austria, Germania, Svizzera - un dibattito, quello sull’introduzione di procedure analoghe alla Verfassungsbeschwerde o all’amparo, ricorrente nella dottrina italiana ma sempre senza successo.  Altrettanto visionario il volume Il controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi nel diritto comparato, del 1968, un periodo in cui ancora non si è verificata l’esplosione delle corti costituzionali, ma in cui già Cappelletti la prevede e propone una articolazione della giustizia costituzionale in modelli che ancora oggi resta convincente,  intuendo altresì  l’inevitabile declino del controllo politico, come dimostra la progressiva evoluzione  del modello francese iscritto nella Costituzione della V Repubblica. Il 1973 è l’anno in cui viene pubblicato, a cura anche di Denis Tallon,  il frutto del primo grande progetto internazionale promosso da Mauro Cappelletti sulle “Fundamental Guarantees of the Parties in Civil Litigation”: qui il nuovo non sta solo nell’estendere al processo civile una riflessione fino ad allora prevalentemente rivolta al processo penale, ma nell’affermare la necessità di andare oltre le “garanzie formali” per renderle “effettive ed accessibili a tutti, e non una presa in giro per la parte più debole” (Dimensioni della  giustizia, cit., p. 163) .

“Fundamental Guarantees” rappresenta l’inizio del monumentale lavoro di Cappelletti sull’accesso alla giustizia nei suoi vari aspetti, tutti tesi  a mettere in risalto la dimensione sociale del processo.

 E’ del 1975 il volume Toward Equal Justice. A Comparative Study of Legal Aid in Modern Societies (curato con J. Gordley e E. Johnson, jr): il tema del costo del processo e dell’assistenza giudiziale e stragiudiziale ai meno abbienti, mai prima di allora oggetto di una riflessione scientifica, giuridica e politica, assume nell’approccio di Cappelletti una valenza fondamentale: se “democrazia significa anzitutto partecipazione”, che processo è quello in cui una parte è “nell’impossibilità di effettivamente partecipare”  se non “un attentato contro ciò che di più essenziale si ha nel processo giurisdizionale?” (Dimensioni della giustizia, cit., p. 165) . Toward Equal Justice affronta il tema in una dimensione comparativa assai ampia, in un momento in cui molti ordinamenti affrontano e danno una  risposta al problema sociale – non l’Italia, peraltro, in cui il problema della parte povera ha continuato per molto tempo ad essere affrontato nella ottocentesca prospettiva “caritatevole” (con l’eccezione delle controversie di  lavoro regolate dalla legge n. 533 del 1973, l’unica riforma in cui l’impegno, anche civile, di Cappelletti per il suo Paese è riuscito a tradursi in realtà, come lui stesso scrive, con una certa amarezza, in Dimensioni della giustizia, cit., p. 158).

Sono del 1978-79 i sei tomi che chiudono il “Florence Access-to-Justice Project”, scandagliando in una dimensione comparativa ormai planetaria i vari aspetti del tema, oltre a quello già ricordato della giustizia dei poveri. Il primo aspetto è quello degli interessi collettivi, superindividuali, diffusi,  che Cappelletti chiama della “povertà organizzativa”, in cui il problema o bisogno sociale è quello  di costruire forme di tutela capaci di rompere l’isolamento della singola vittima, di rendere quindi possibili nuove forme di tutela. A fronte della crescente importanza dei problemi legati alla produzione di massa, al consumo di massa, alla responsabilità di massa, all’inquinamento ambientale, che mal sopportano le antiquate concezioni individualistiche della legittimazione ad agire, servono invece nuovi tipi di azione -  le class actions dell’esperienza statunitense, ad esempio, che ancora stentano a prendere quota in molti ordinamenti, specialmente di civil law – e una conseguente evoluzione delle garanzie da garanzie individuali a garanzie sociali o di gruppo.  La capacità di intuizione  di Cappelletti lo porta poi a individuare la terza ondata dell’accesso in una galassia sempre in movimento di strumenti e tecniche , divenute sempre più attuali  e diffuse nella realtà odierna con il nome di ADR – “Alternative Dispute Resolution”. Si assiste oggi a una vera e propria corsa all’ADR, ma ormai diversa da quella che usciva dalle pagine di “Access to Justice”. Accanto all’entusiasmo per il fenomeno, è diffusa la sensazione che sia in atto una privatizzazione della giustizia, e che l’ADR abbia trasformato la questione dell’accesso alla giustizia, limitando in realtà il più possibile l’accesso alle corti. Siamo lontani dalla visione di Cappelletti, secondo il quale la terza ondata avrebbe dovuto accompagnarsi alle prime due ondate dell’accesso alla giustizia, e non sostituirsi ad esse, nell’ottica di migliorare l’accesso alle corti (sul tema può vedersi, se si vuole, il mio La cultura dell’ADR: una comparazione fra modelli, in Rivista critica del diritto privato, 2015, p. 495ss)

La seconda fondamentale dimensione dell’itinerario intellettuale di Cappelletti è data dalla comparazione. Fin dai primi studi, Cappelletti ha sempre guardato ai suoi temi in un’ottica comparativa, utilizzando un metodo che è pure assai degno di nota. Cappelletti non è interessato a una analisi tecnica o strutturale e astratta delle differenze e dei punti di contatto, così come non gli è sufficiente fermarsi all’acquisizione di nuova conoscenza. Cappelletti intende piuttosto la comparazione come ricerca di soluzioni, come strumento di politica del diritto, quel che gli preme è trasformare le istituzioni di cui avverte l’insufficienza o l’ingiustizia: e la comparazione gli è essenziale per trovare la soluzione migliore – la “promising solution”.   E’ chiaro che questa concezione del metodo comparativo, e i fini che gli attribuiva, portavano Cappelletti a coltivare una dimensione della comparazione diversa da quella tradizionale, incentrata su pochi sistemi giuridici nazionali, prevalentemente di civil law, e caratterizzata da un approccio dualista, che si limitava cioè a due sistemi giuridici, “ciascuno dei quali da considerare come un sistema giuridico chiuso, non coinvolto in alcuna forma di comunicazione” (così S. Cassese nell’ Elogio di Mauro Cappelletti, in Annuario, cit., p. 235). Quel che invece colpisce nell’opera di Cappelletti è in primo luogo l’allargamento alla tradizione di common law, e soprattutto al diritto degli USA, che sicuramente contribuisce a relativizzare l’apparato concettuale cui eravamo abituati; in secondo luogo,  è il  suo progressivo distacco a questo o da quell’ordinamento, da questa o quella tradizione giuridica per aprirsi sempre più ad una visione globale , universalistica. Quel che sempre più interessa a Cappelletti è l’individuazione del problema sociale al fine di ricercare le risposte in una varietà sconfinata di esperienze giuridiche e culturali. In tal modo, Cappelletti mostra di essere sensibile all’esigenza di recuperare, attraverso la comparazione, l’universalità del fenomeno giuridico (il punto è già acutamente sottolineato nella recensione che Alessandro Pizzorusso scrisse per la Riv. trim. dir. proc. civ. del 1968 al volume sul Controllo giudiziario), universalità che si era andata perdendo con la nazionalizzazione del diritto, ma che la realtà odierna insofferente dei confini nazionali aiuta a recuperare -  anche se oggi deve fronteggiare gli antistorici  rigurgiti di nazionalismo. Non sorprende dunque certamente che tra i suoi interessi ricorrenti sia  la dimensione transnazionale e sovranazionale del diritto, che egli guardi all’Europa come fonte del diritto, e all’integrazione europea attraverso il diritto. Non è un caso che, dopo la conclusione dell’Access to Justice Project, metta mano ad un altro grandioso progetto di ricerca, “Integration Through Law”, sei volumi pubblicati nel 1986-87, “sul presente, sulle trasformazioni e sulle prospettive future di un ordine giuridico non più imbrigliato all’interno di rigidi confini nazionali, …, un’ulteriore grande testimonianza dell’impegno di un uomo interessato più al diritto da fare che a quello già fatto, convinto che anche dall’opera dello studioso dipende il corso delle cose” (così N. Trocker, Processo e Costituzione nell’opera di Mauro Cappelletti: Elementi di una moderna “teoria” del processo,  in Annuario, cit., p. 164).

E’ evidente, infine, che simili aperture, insieme alle virtù profetiche, non potevano coesistere con il dogmatismo ancora dominante nella dottrina giuridica italiana, e in particolare fra i processualisti. Cappelletti è stato assai poco incline, e comunque poco interessato, alle costruzioni dogmatiche, alle categorie e ai concetti fini a sé stessi: “[L’]età dei sogni dogmatici è finita”: scriveva in Dimensioni della giustizia, cit.,  p. 183. E’ significativo (lo ricorda Trocker nel suo contributo citato, p.  158) che nel 1962 la sua prolusione maceratese sia un vero e proprio manifesto programmatico dal titolo “Ideologie nel diritto processuale”, e che nella Premessa al volume “Processo e ideologie” del 1969, p. VII, il Maestro dichiari di  mettere “radicalmente in contestazione un metodo di studio tipicamente scolastico, dogmatico e formalistico, inteso alla ricerca di una scienza ‘pura’ e ideologicamente neutrale” ; e di concepire  invece “il diritto come fenomeno sociale e … la scienza giuridica come scienza sociologico-valutativa, e non formale, scienza di problemi pratici e non di astratte sistemazioni concettuali, scienza di risultati concreti e non di aprioristiche deduzioni, scienza… di scelte creative e quindi responsabili , e non di automatiche conclusioni”.  I temi dunque di Cappelletti  sono quelli che gli consentono di combattere contro le incrostazioni  arcaiche del processo (il pensiero va al grande affresco storico-comparativo su La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità del 1962), di battersi per una maggiore rapidità del processo e per una migliore qualità della giustizia, per un più corretto bilanciamento fra poteri delle parti e poteri del giudice, per una maggiore responsabilizzazione di quest’ultimo, proporzionale all’espansione del ruolo della giurisdizione... Molte delle idee di Cappelletti hanno trovato riscontro in un grande movimento di riforma del processo civile che attraversa, a cavallo del terzo millennio, vari ordinamenti sia di civil law che di common law (si veda  The Reforms of Civil Procedure in Comparative Perspective, 1985, curato da N. Trocker  e da me);  egli non ha invece raccolto in Italia quello che il suo impegno avrebbe meritato, e che avrebbe potuto rendere migliore questo Paese, dandogli una giustizia più rapida e più giusta.

 

Vincenzo Varano